domenica, 22 ottobre 2006

autunno.

Non aveva mai visto la notte da così vicino. Lo sguardo si fece strada nel freddo della stazione, soffermandosi sulla luce dei lampioni che lottavano contro il buio, sui binari freddi e deserti, su quel brecciolino di cui gli era sempre sfuggita la necessità. Una notte fredda, dicevamo, in cui capitava di timbrare il biglietto senza togliersi i guanti, di rintanarsi nell'angolo di quello che un tempo era un bar, di maledire il mondo mentre aspettava il diretto delle quattro e un quarto.

Dopo qualche minuto un vecchio affollò la banchina. Uno di quei vecchi che bofonchiano qualcosa, sputano per terra, tirano su col naso e poi ricominciano. Siccome odiava quelli che tiravano su col naso, fissò il vuoto come si addice ad ogni buona occasione sociale, ovvero con interesse ed ostentata sicurezza. Fece attenzione a non incrociare con lo sguardo anima viva - la fatica non fu molta, a dir la verità - e rimase assorto un'altra manciata di minuti, mentre non trovava altro di meglio da fare che sbattere aritmicamente i piedi e imprecare contro il freddo e il sonno e tutto il resto. Però il vecchio non si era avvicinato, ed era già qualcosa.
Il settimo avvistamento, stavolta era effettivamente un treno. I deboli fari della locomotiva traballarono lentamente, troppo lentamente, si spensero e si riaccesero, e il diretto fu in stazione. Aveva solo una valigia, per cui non lo infastidì più di tanto dover cambiare carrozza perché i portelli non si aprivano. Almeno, sul treno faceva caldo - era un freddo malsano e più attutito, umido, ma sempre meno freddo di fuori.
Riguardò il biglietto, e si pentì della prenotazione, mentre violava scompartimenti vuoti e infreddoliti che puzzavano di sedili in pelle vecchia e sigarette fumate di nascosto. Ne scelse uno a metà vagone, dove gli spifferi erano sopportabili. Subito gli fu addosso l'amara sensazione di trovarsi dove non voleva essere - quel filo di mal di stomaco che lo accompagnava quando non era troppo a suo agio. Sospirò, quando lanciò la valigia sopra al posto centocinque, si aggiustò il cappotto e appoggiò lo sguardo umido al finestrino.
Iniziò a pensare, o almeno a farlo con consapevolezza, per quanto il freddo e il sonno e il mal di stomaco volessero permettergli. Intanto, cosa faceva lì? Viaggiava, evidentemente. Stupito dalla profondità di certi pensieri, sfogò l'intelletto sulle condizioni di viaggio stampate dietro al biglietto, sul comando del condizionatore perennemente guasto, sull'utilità dello specchio sopra gli schienali e su quanto fosse piccolo il portarifiuti per bastare a sei persone. Frugò nella tasca dei pantaloni, mentre fuori già si vedevano le prime tracce di neve, staccò un quadretto di cioccolata e la mangiò.
Alla fine, ce l'aveva fatta, era partito. Una volta svegli alle tre del mattino, tanto vale andare fino in fondo, per qualsiasi cosa ci si sia svegliati. Prima o poi sarebbe stato comunque necessario lasciare tutto, si disse. Aveva abbandonato ogni cosa, come già altre volte, e adesso si abbandonava a un destino che cominciava alle quattro e qualcosa in una stupida stazione di provincia. Senza sapere dove volesse andare a parare, come ogni spettabile essere umano di questa terra.
La cioccolata s'era sciolta lentamente, liberando una nota liquida fra dolce ed amaro, impreziosita da un corposo retrogusto di nocciola. Insomma era buona. Gustava soprattutto il piacere dell'attesa di un altro pezzo, e se lo gustava mentre misurava con gli occhi quanto fosse insignificante quello scompartimento, rispetto all'oscurità imponente che s'intravedeva tra una galleria e l'altra. Perché in galleria, tutto si rivelava per quello che era - un treno, sei sedili un corridoio deserto e nulla più. Stranamente, l'immagine riflessa nel finestrino oscurato mostrava la realtà più di quanto facesse lo sguardo consueto.
Diceva di essersi abituato a tutto questo. Alla fine, era un aspetto della sua vita, pressoché irrinunciabile, e tutto quello che poteva fare era adeguarsi. O almeno così si diceva. In verità, preferiva non approfondire molto quell'aspetto - non approfondire molto nessun aspetto - e non perché avesse paura di qualcosa. Solo, erano altre scocciature, per uno che aveva un bel da fare ad adeguarsi a quello che sarebbe capitato poi.
Il fastidio principale era quello di non poter dormire. Primo, non si fidava troppo della vuotezza del treno. Poi, ad ogni galleria i timpani sembravano volergli scoppiare. Appoggiava di tanto in tanto la testa al finestrino (o al poggiatesta), riposava una ventina di secondi e si svegliava di soprassalto, talmente era stanco e infreddolito.
Fu dopo un tempo indefinito, che si accorse che l'aria proveniva da un aggeggio rettangolare attaccato sotto al finestrino. Proprio allora il treno rallentò, talmente piano che faticava a distinguere l'immobilità dalla marcia. Tempo che si sistemò, più accucciato per fronteggiare l'aria gelata, erano già ripartiti, senza che fosse riuscito a leggere da dove.
Dopo poco, sentì dei passi avvicinarsi, e si ricompose, sbirciando dalla porta di vetro. D'un tratto, un gran botto.
"Porca miseria!"
Voce di donna. Inclinò lo sguardo, finché non fu più necessario, visto che era entrata.
"Maledette valigie... buonasera!"
Squadrò velocemente quella figura alta e bionda, infagottata dentro un giaccone marrone e circondata da due valigie enormi.
"La posso aiutare?"
"Grazie", rispose.


Ogni tanto, lo guardava. Di sfuggita, quando fuori c'era poco d'interessante. Lei sembrava incuriosita, da quell'uomo rannicchiato da una parte, apparentemente immobile.
"Parte?"
Lo svegliò dall'apatia del viaggio. Non stava pensando, non lo disturbava.
"Prego?"
"Parte o torna?"
Si guardò intorno, come a cercare una risposta incastrata dietro un sedile o nascosta fuori dalla porta trasparente. Per poco tempo, ma lei se ne accorse comunque.
"Diciamo che parto". Pausa, breve quanto imbarazzata. "E lei?"
"Oh, io sono solo di passaggio."
"Lo siamo un po' tutti", sentenziò, poco convinto di quello che diceva, di come lo diceva. Non riusciva a intuire se il breve sorriso che seguì avesse significati particolari.
"Prendo questo treno fino alla prossima stazione, vado in aeroporto."
"Va molto lontano?"
Si stupì di quanto riusciva ad essere scontato. Anche se non importava.
"Parto per dimenticare, quindi penso proprio di sì."
Non era una confessione. Non confidava negli sconosciuti, non si confidava con gli sconosciuti. Piuttosto, era un'osservazione, un'osservazione dall'esterno per gente che sta all'esterno, un'osservazione con vita breve e scarso seguito. Come tante altre osservazioni, solo che la fine che facevano era già nota.
Stavolta toccò a lei guardare fuori dal finestrino per un po'. Mai come allora era conveniente viaggiare in treno - decise lui. Così il viaggio è molto più semplice.
"Passato o futuro?"
"Come?"
"Parte per dimenticare il passato o il futuro?"
"Mmmmm... entrambi?"
L'aveva un po' scossa, con quella domanda. Non che avesse molto senso, beninteso. Quel poco senso che aveva, rischiava di finire nascosto dal fastidioso spettro di banalità che aleggiava nell'aria, ogni volta che lui parlava. Si ripromise di curare meglio retorica e conversazione: provare, provare, provare, altrimenti non si va davvero da nessuna parte.
"Lei parte per dimenticare?", gli chiese.
Ci pensò su. Comunque fosse, non partiva solo per dimenticare. Aveva altri motivi.
"Penso di no, li accetto entrambi."
"Passato e futuro?"
"Certo."
Sembrava sorpresa.
"Perché?"
"Forse perché è più semplice."
Le aveva risposto subito. Pensò che forse era il caso di rifletterci su, ma entrarono in galleria, ed era troppo impegnato a sturarsi le orecchie.
"Strano."
Sembrava ancora sorpresa. La vide estraniarsi per un attimo dalla conversazione. Ne approfittò per rimettersi in sesto sul sedile, lanciò un'occhiata fuori dal finestrino ancora oscurato, e subito scartò un altro pezzo di cioccolata.
"Qualcosa non va?"
Perplessa, ecco com'era. Era perplessa. Comunque, lo spettro di banalità sembrava superato. Già era qualcosa, o almeno così pensò prima di mangiarsi il quarto quadrettone della giornata, un quadrettone lucido e gustoso.
"Non so... sono magari disposta ad accettare il passato, non di certo il futuro."
La guardò, interrogativo, ma in realtà doveva e voleva guardare se stesso, ancor più interrogativo. Qualcosa della vita gli stava sfuggendo?
"Non trova?", gli chiese, quasi a cercare approvazione.
"Mah."
Perplesso, ecco come sembrava. Forse soltanto non sapeva cosa dire, o come dirlo, ma sicuramente non lo disse. Non disse proprio nulla, se ne stette lì, un po' colpito e un po' indifferente, a fissare ancora una volta quel vuoto rassicurante che tanto faceva comodo in occasioni del genere.


Il diretto delle quattro e un quarto rallentò nuovamente. Fuori, ufficialmente albeggiava. Ma sapeva bene che il suo ideale di alba non esisteva: lo scarto tra luce e oscurità era lento, lentissimo, insignificante. Di albe ne aveva viste abbastanza da non crederci più; a mano a mano che il tempo passava, tutto sapeva di immobilità.
Tralasciò quello squallido spettacolo, e tornò dentro a tutti gli effetti. Sbuffò ancora una volta, si risistemò nel sedile con un gesto ormai senza tempo, accennando uno sbadiglio di convenienza. La voce annunciò che tra poco si sarebbero fermati, e quindi cercò qualcosa di conclusivo da dire per salutarla. Ma lei lo precedette.
"Alla fine, è autunno per tutti."
La vide alzarsi, sorridergli dalla soglia dello scompartimento e scomparire nel corridoio. Seguì con lo sguardo quella figura alta e bionda, infagottata dentro un giaccone marrone e circondata da due valigie enormi, che si allontanava ignara del proprio destino - come ogni essere umano che si rispetti. La seguì finché non scomparve nella folla nascente che già minacciava di popolare il corridoio del diretto delle quattro e un quarto. E poi diede una rapida occhiata fuori dal finestrino, per vedere se là fuori c'era ancora qualcosa da vedere, o magari era già incominciata la galleria.

giovedì, 5 ottobre 2006

non abbiate paura


Dibattito profondo a tg2 10 minuti, sulla puntata di ieri sull'assurdo partito pedofilo in Danimarca.


Perché non parlarne in prima serata? Perché i genitori non devono avere paura di parcheggiare i pargoli davanti al televisore. La televisione difatti svolge un'importante attività educativa e formativa, da cui - questo il messaggio - bisogna poter attingere con fiducia. Senza paura di scene o argomenti scabrosi come la pedofilia o la guerra.

Tanto ci pensano le Isole, le Pupe, i far west, gli Amici, l'Italia sul 2 , i Circhi, a tenervi compagnia.


Immagine tratta da Wikipedia

domenica, 1 ottobre 2006

perché pensar male?

Non c'è niente di male ad ammettere di aver sbagliato. Dopotutto non è altro che affermare che oggi si è più saggi di ieri.
E infatti titolare a moralità limitata è stato un errore. E' bastata una puntata di Report, neanche vista per intero, per cambiare idea. La moralità è davvero una grande cazzata.

Non perdiamo tempo a chiederci se giusto coincida con legale e viceversa. Il finanziamento ai partiti è qualcosa di talmente lontano dalla nostra cultura - comunque e dovunque esso avvenga - che basta una manciata di dati a lasciarci quel senso amaro di desolatezza, come quando la cioccolata è finita, che tanto si addice alla domenica sera. Anche se la politica e la società mai potranno avere su di noi l'influenza che ha del buon cioccolato, il problema si pone eccome.

Sia chiaro, il tema passerà inosservato, soppiantato da qualsiasi altra notizia. E la cosa non stupisce (come potrebbe!?). L'importante è non dimenticare. L'importante è essere consapevoli che quando ci si alza alle otto della domenica per recarsi a votare, quando si scende sotto casa contro una guerra, quando si firmano petizioni o si ascoltano indignazioni, tutto sarà comunque vano. La speranza, in certi casi, è la prima a morire, su tutti i fronti, senza appelli o risurrezioni o vite future.


Per cui, da una convinta compartecipazione alla vita democratica all'insegna del meno peggio, con annessa disponibilità alla messa in discussione, al confronto e al dialogo ad ogni condizione, dobbiamo passare a una disillusa partecipazione alla vita democratica, all'insegna del meglio di niente. Consapevoli che niente servirà a qualcosa, che tutto non servirà a nulla, e soprattutto che l'unico sforzo possibile sarà quello di continuare ad indignarsi e stupirsi.

Sarà sempre così. Tanto vale non adeguarsi.