martedì, 26 settembre 2006

a moralità limitata

Pare che l'unica garanzia di sana moralità e solidi principi, sia l'adesione senza riserve ai sacri Valori della nazione, e ovviamente un forte spirito di religiosità possibilmente nostrana.

Andatelo a spiegare ai vari che se ci fosse la pena di morte da darla a certa gente, come pedofili, sequestratori, assassini. Che dichiarano con candore che sarebbero a favore, se non fossero cattolici, e tutti annuiscono.
Andatelo a spiegare ai parenti di chi è saltato in aria perché la mafia proprio non gli piaceva, di chi è finito male perché senza scorta, di chi quotidianamente ci lascia la pelle per la sostanziale generale indifferenza, che la vita è un valore sacro per lo stato.

Dispiace notare che c'è un impellente bisogno di appellarsi a qualcosa di molto in alto, per evitare discorsi, considerazioni, messe in discussione. Di recente vanno di moda i valori, discesi direttamente dalle divinità di turno, codificati nella roccia da uomini onorevoli, che si sacrificano per dare loro la giusta dignità. Ecco dunque il Bene e il Male, la Tradizione, la Famiglia e una manciata di diritti quantomai in auge rispetto a umanità, dignità, onestà, legalità e molto altro.
Non interessa tanto di come questi sacri principi siano onorati da chi tanto li difende. Il problema è da dove vengono. Sono confezionati ad hoc per la dichiarazione al giornalista di turno, ed a mano a mano entrano nella mentalità comune come baluardi in cui trincerarsi.

Utili, perché impediscono un qualsiasi confronto su qualsiasi tema: basta invocarli. Però si potrebbero estendere cose come reversibilità di affitti e pensioni, o diritti di visita in ospedale, a tutte le convivenze in generale... Assolutamente no. La Famiglia non si tocca. Noi difendiamo la Famiglia da chi vuole attaccarla e disgregarla. Per quelle cose c'è già il matrimonio. Ma se quello non ne può più, è proprio giusto giusto che non possa disporre della sua esistenza? Parliamone! Sia mai detto. La Vita è un sacro principio che va difeso con forza a tutti i costi da chi la attacca. Il dialogo ci può essere, ma non può essere finalizzato neanche lontanamente alla legalizzazione dell'eutanasia.
E così via.

Non sarebbe eccessivamente difficile, basare ogni giudizio e dichiarazione su un opportuno ragionamento, in cui tutto sia potenzialmente in discussione per giungere a una soluzione quantomeno logica. Ma la tentazione di giudicare il vicino di casa che magari non si vede mai, quando il giornalista te lo chiede, è troppo forte. Come la tentazione di attaccare un religioso che fa accenni non proprio chiarissimi, senza aver letto quello che ha detto, affidandosi ai titoli di giornale. Che poi è lo stesso, che parlare degli affari degli altri senza conoscere neanche i propri, facendosi liberi giudici di tutto il resto. Imponendo i nostri principi e valori davanti a ogni possibile dialettica, perché solo noi sappiamo cos'è giusto - e cosa deve essere giusto - per gli altri.

Il problema sorgerebbe nell'eventualità che i pilastri di tanta moralità venissero meno. In un mondo ipotetico senza religioni o scuole di pensiero, senza indici, senza commentatori, come faremmo a prendere una decisione, a fondare un discorso, se l'unica cosa che ci rimarrebbe sarebbe la ragione, che non siamo certo abituati ad usare? Se la legge - sociale, morale, statale o religiosa non importa - accettasse il linciaggio e sancisse il diritto alla sopraffazione, come ci comporteremmo? A cosa appellarsi, se crediamo che uccidere è comunque sbagliato, che la violenza va impedita, che chi ha bisogno va aiutato? A cosa, se rimanesse solo l'uomo di fronte al desolante spettacolo dell'universo?

Si può citare finché si vuole, ma alla fine rimane sempre una citazione.

Immagine tratta da Wikipedia.

venerdì, 22 settembre 2006

annozero

Fa impressione, vedere un programma del genere.
Finalmente i politici sono in minoranza.

in alto


Da qui, messere, si domina la valle.
Ciò che si vede, è.


L'obiettivo non è la cima. Sarebbe la cima se non fossi in montagna. Non è la quota, il dislivello, il record.

Sali finché puoi. Lontano da tutto il resto. Il tempo se ne sta seduto da qualche parte, mentre cammini, cammini come non hai mai camminato, come non cammineresti mai per tutto l'oro del mondo.
Ma lo fai lo stesso. Senza ripensarci troppo.

Non è una sfida. La montagna non va sfidata, vince sempre. Se volessi sfidarla, attrezzeresti la roccia, un pilone della seggiovia quà e là, giù qualche albero a far posto allo sciatore. Non costruiresti il rifugio. Non ci andresti neanche a piedi, se fosse per dimostrarle che non ti fa paura.

Magari è una sfida con se stessi. O con tutti gli altri, che è identico. Una botta di egolatria, volendo. Qualcosa di cammuffato dietro taanto amore per la natura, qualcosa che chiamano squallidamente ritorno alle origini, un eremitismo temporaneo, un eroismo di plastica. Oppure semplicemente è un modo come un altro di ingannare il tempo.


Di certo, uno dei migliori.

giovedì, 21 settembre 2006

parole da vendere

Ci sono libri che non serve leggerli.
Come Il treno d'Istanbul di Graham Greene. Non serve arrancare oltre pagina sedici. Non c'è bisogno di un segnalibro. Bastano le ultime tre righe della recensione:

Ogni fermata significa la fine di un'illusione, l'avvicinarsi inevitabile di una resa dei conti cui solo i più furbi ed egoisti, coloro che non amano e dimenticano, potranno sottrarsi.
Libri che vale la pena di leggere, come il divertente Il nostro agente all'Avana dello stesso Greene, ironici, appassionanti, completi allo stesso tempo. Così Una pistola in vendita, sempre suo.

Poi capitano cose come Almost Blue, di Lucarelli, o ancora Un giorno dopo l'altro. Meno sopportabili di Blu Notte. Il tono dopo un po' stomaca, la storia regge e interessa. Forse perché è meno distante da noi, quello che scrive, forse perché un giallo dove il detective si chiama Grazia è meno eroico, meno esotico, meno epico. Magari perché il libro estero è estero, è un altro mondo di nomi e sensazioni, e possiamo abbandonarci alla storia più facilmente. Alla fine, il libro è una storia.

Che poi leggere Come un romanzo di Pennac fa sempre bene.

Rifugio Lago Rodella / Radlseehuette


Salita: 2.30 ore
Discesa: 2.30 ore
Dislivello: 904 m


In strada da Bressanone, si raggiunge il maso Perlunger (passando per Tils e Gereut), 1380m. Da lì, a piedi sul sentiero 8, quasi interamente nel bosco, arrancando per vario tempo tra mulattiere a scarsa pendenza, ciottolati ripidi, gradini fangosi. Al bivio con il sentiero 8a, presso un crocifisso, si prosegue sull'8. Una volta raggiunto il terzo crocifisso, nei pressi di una recinzione, in breve tempo termina il bosco. Si cammina per circa mezz'ora, su pascoli d'alta quota, incrociando la teleferica del rifugio. Dopo poco, il rifugio (aperto d'estate; 0472 85 52 30; AVS), grande e molto frequentato; ottima cucina. Si torna sulla via dell'andata, eventualmente prendendo il sentiero 8a (più ripido ed esposto), che si ricongiunge con l'8.

Difficoltà: nessuna, per escursionisti allenati. Gita faticosa sia in salita che in discesa, ma altamente remunerativa per lo splendido paesaggio. Nel bosco, attenzione a radici e fango, soprattutto in caso di pioggia. La camminata sembra interminabile, ma vale la pena.

Dal rifugio: anzitutto, il lago Rodella, a pochi metri dall'edificio. Con altri 150m di salita (facile; andata 30' - ritorno 25') si raggiunge la cima Koenigsanger, tramite il sentiero 7, con vista
panoramica.

mercoledì, 20 settembre 2006

Gran Pilastro / Hochfeiler



Salita: 3 ore almeno
Discesa: 2.30 - 3 ore
Dislivello: 992 m


Si prende il sentiero 1 dal terzo tornante della strada per il Pfitscher Joch / Passo di Vizze (da Vipiteno/Sterzing; parcheggio segnalato). Dopo dieci minuti, passato il bivio per il bivacco Messner (Hochferner), si prosegue sempre seguendo il segnavia 1, tenendosi a sinistra una volta nei pressi di un gruppo di casupole. Il sentiero si inerpica lungo il bosco, per circa 1.30 ore; molta attenzione ai piccoli salti di roccia da 1-1.5 metri, nell'ultima parte del percorso, con fango o pioggia. Inizia poi la lunga salita, con pendenza accettabile, lungo il costone della montagna. Si supera un tratto esposto (la prima trentina di metri è attrezzata) fino a una serie di tornanti ripidi. Il rifugio è in vista: il sentiero si fa più semplice e meno esposto, e in circa un'ora si raggiunge l'Hochfeilerhuette (almeno 3 ore dalla partenza). Il rifugio (dell'AVS: tel. 0472 64 60 71; aperto d'estate; locale invernale con 6 posti) è del 1986. I locali sono accoglienti, la gestione è buona.

Difficoltà
: trascurabili per escursionisti allenati, assolutamente privi di vertigini. E' necessario passo fermo nei tratti a strapiombo sulla valle, molta attenzione in caso di fango. Conviene informarsi sull'agibilità del sentiero (neve, ghiaccio).

Dal rifugio: l'Hochfeilerhuette è meta di partenza per la salita all'Hochfeiler (3510m), massima cima delle Alpi Aurine, nonché per la traversata della vedretta e di una forcella verso il rifugio Ponte di Ghiaccio (Edelrautehuette). Trattandosi di percorsi molto più impegnativi, è richiesta attrezzatura e pratica di montagna, roccia e ghiaccio. L'escursionista medio può accontentarsi della splendida posizione tra i ghiacci e i "tremila" e della collocazione tipicamente di alta montagna, che ripagano enormemente la fatica.