domenica, 22 ottobre 2006

autunno.

Non aveva mai visto la notte da così vicino. Lo sguardo si fece strada nel freddo della stazione, soffermandosi sulla luce dei lampioni che lottavano contro il buio, sui binari freddi e deserti, su quel brecciolino di cui gli era sempre sfuggita la necessità. Una notte fredda, dicevamo, in cui capitava di timbrare il biglietto senza togliersi i guanti, di rintanarsi nell'angolo di quello che un tempo era un bar, di maledire il mondo mentre aspettava il diretto delle quattro e un quarto.

Dopo qualche minuto un vecchio affollò la banchina. Uno di quei vecchi che bofonchiano qualcosa, sputano per terra, tirano su col naso e poi ricominciano. Siccome odiava quelli che tiravano su col naso, fissò il vuoto come si addice ad ogni buona occasione sociale, ovvero con interesse ed ostentata sicurezza. Fece attenzione a non incrociare con lo sguardo anima viva - la fatica non fu molta, a dir la verità - e rimase assorto un'altra manciata di minuti, mentre non trovava altro di meglio da fare che sbattere aritmicamente i piedi e imprecare contro il freddo e il sonno e tutto il resto. Però il vecchio non si era avvicinato, ed era già qualcosa.
Il settimo avvistamento, stavolta era effettivamente un treno. I deboli fari della locomotiva traballarono lentamente, troppo lentamente, si spensero e si riaccesero, e il diretto fu in stazione. Aveva solo una valigia, per cui non lo infastidì più di tanto dover cambiare carrozza perché i portelli non si aprivano. Almeno, sul treno faceva caldo - era un freddo malsano e più attutito, umido, ma sempre meno freddo di fuori.
Riguardò il biglietto, e si pentì della prenotazione, mentre violava scompartimenti vuoti e infreddoliti che puzzavano di sedili in pelle vecchia e sigarette fumate di nascosto. Ne scelse uno a metà vagone, dove gli spifferi erano sopportabili. Subito gli fu addosso l'amara sensazione di trovarsi dove non voleva essere - quel filo di mal di stomaco che lo accompagnava quando non era troppo a suo agio. Sospirò, quando lanciò la valigia sopra al posto centocinque, si aggiustò il cappotto e appoggiò lo sguardo umido al finestrino.
Iniziò a pensare, o almeno a farlo con consapevolezza, per quanto il freddo e il sonno e il mal di stomaco volessero permettergli. Intanto, cosa faceva lì? Viaggiava, evidentemente. Stupito dalla profondità di certi pensieri, sfogò l'intelletto sulle condizioni di viaggio stampate dietro al biglietto, sul comando del condizionatore perennemente guasto, sull'utilità dello specchio sopra gli schienali e su quanto fosse piccolo il portarifiuti per bastare a sei persone. Frugò nella tasca dei pantaloni, mentre fuori già si vedevano le prime tracce di neve, staccò un quadretto di cioccolata e la mangiò.
Alla fine, ce l'aveva fatta, era partito. Una volta svegli alle tre del mattino, tanto vale andare fino in fondo, per qualsiasi cosa ci si sia svegliati. Prima o poi sarebbe stato comunque necessario lasciare tutto, si disse. Aveva abbandonato ogni cosa, come già altre volte, e adesso si abbandonava a un destino che cominciava alle quattro e qualcosa in una stupida stazione di provincia. Senza sapere dove volesse andare a parare, come ogni spettabile essere umano di questa terra.
La cioccolata s'era sciolta lentamente, liberando una nota liquida fra dolce ed amaro, impreziosita da un corposo retrogusto di nocciola. Insomma era buona. Gustava soprattutto il piacere dell'attesa di un altro pezzo, e se lo gustava mentre misurava con gli occhi quanto fosse insignificante quello scompartimento, rispetto all'oscurità imponente che s'intravedeva tra una galleria e l'altra. Perché in galleria, tutto si rivelava per quello che era - un treno, sei sedili un corridoio deserto e nulla più. Stranamente, l'immagine riflessa nel finestrino oscurato mostrava la realtà più di quanto facesse lo sguardo consueto.
Diceva di essersi abituato a tutto questo. Alla fine, era un aspetto della sua vita, pressoché irrinunciabile, e tutto quello che poteva fare era adeguarsi. O almeno così si diceva. In verità, preferiva non approfondire molto quell'aspetto - non approfondire molto nessun aspetto - e non perché avesse paura di qualcosa. Solo, erano altre scocciature, per uno che aveva un bel da fare ad adeguarsi a quello che sarebbe capitato poi.
Il fastidio principale era quello di non poter dormire. Primo, non si fidava troppo della vuotezza del treno. Poi, ad ogni galleria i timpani sembravano volergli scoppiare. Appoggiava di tanto in tanto la testa al finestrino (o al poggiatesta), riposava una ventina di secondi e si svegliava di soprassalto, talmente era stanco e infreddolito.
Fu dopo un tempo indefinito, che si accorse che l'aria proveniva da un aggeggio rettangolare attaccato sotto al finestrino. Proprio allora il treno rallentò, talmente piano che faticava a distinguere l'immobilità dalla marcia. Tempo che si sistemò, più accucciato per fronteggiare l'aria gelata, erano già ripartiti, senza che fosse riuscito a leggere da dove.
Dopo poco, sentì dei passi avvicinarsi, e si ricompose, sbirciando dalla porta di vetro. D'un tratto, un gran botto.
"Porca miseria!"
Voce di donna. Inclinò lo sguardo, finché non fu più necessario, visto che era entrata.
"Maledette valigie... buonasera!"
Squadrò velocemente quella figura alta e bionda, infagottata dentro un giaccone marrone e circondata da due valigie enormi.
"La posso aiutare?"
"Grazie", rispose.


Ogni tanto, lo guardava. Di sfuggita, quando fuori c'era poco d'interessante. Lei sembrava incuriosita, da quell'uomo rannicchiato da una parte, apparentemente immobile.
"Parte?"
Lo svegliò dall'apatia del viaggio. Non stava pensando, non lo disturbava.
"Prego?"
"Parte o torna?"
Si guardò intorno, come a cercare una risposta incastrata dietro un sedile o nascosta fuori dalla porta trasparente. Per poco tempo, ma lei se ne accorse comunque.
"Diciamo che parto". Pausa, breve quanto imbarazzata. "E lei?"
"Oh, io sono solo di passaggio."
"Lo siamo un po' tutti", sentenziò, poco convinto di quello che diceva, di come lo diceva. Non riusciva a intuire se il breve sorriso che seguì avesse significati particolari.
"Prendo questo treno fino alla prossima stazione, vado in aeroporto."
"Va molto lontano?"
Si stupì di quanto riusciva ad essere scontato. Anche se non importava.
"Parto per dimenticare, quindi penso proprio di sì."
Non era una confessione. Non confidava negli sconosciuti, non si confidava con gli sconosciuti. Piuttosto, era un'osservazione, un'osservazione dall'esterno per gente che sta all'esterno, un'osservazione con vita breve e scarso seguito. Come tante altre osservazioni, solo che la fine che facevano era già nota.
Stavolta toccò a lei guardare fuori dal finestrino per un po'. Mai come allora era conveniente viaggiare in treno - decise lui. Così il viaggio è molto più semplice.
"Passato o futuro?"
"Come?"
"Parte per dimenticare il passato o il futuro?"
"Mmmmm... entrambi?"
L'aveva un po' scossa, con quella domanda. Non che avesse molto senso, beninteso. Quel poco senso che aveva, rischiava di finire nascosto dal fastidioso spettro di banalità che aleggiava nell'aria, ogni volta che lui parlava. Si ripromise di curare meglio retorica e conversazione: provare, provare, provare, altrimenti non si va davvero da nessuna parte.
"Lei parte per dimenticare?", gli chiese.
Ci pensò su. Comunque fosse, non partiva solo per dimenticare. Aveva altri motivi.
"Penso di no, li accetto entrambi."
"Passato e futuro?"
"Certo."
Sembrava sorpresa.
"Perché?"
"Forse perché è più semplice."
Le aveva risposto subito. Pensò che forse era il caso di rifletterci su, ma entrarono in galleria, ed era troppo impegnato a sturarsi le orecchie.
"Strano."
Sembrava ancora sorpresa. La vide estraniarsi per un attimo dalla conversazione. Ne approfittò per rimettersi in sesto sul sedile, lanciò un'occhiata fuori dal finestrino ancora oscurato, e subito scartò un altro pezzo di cioccolata.
"Qualcosa non va?"
Perplessa, ecco com'era. Era perplessa. Comunque, lo spettro di banalità sembrava superato. Già era qualcosa, o almeno così pensò prima di mangiarsi il quarto quadrettone della giornata, un quadrettone lucido e gustoso.
"Non so... sono magari disposta ad accettare il passato, non di certo il futuro."
La guardò, interrogativo, ma in realtà doveva e voleva guardare se stesso, ancor più interrogativo. Qualcosa della vita gli stava sfuggendo?
"Non trova?", gli chiese, quasi a cercare approvazione.
"Mah."
Perplesso, ecco come sembrava. Forse soltanto non sapeva cosa dire, o come dirlo, ma sicuramente non lo disse. Non disse proprio nulla, se ne stette lì, un po' colpito e un po' indifferente, a fissare ancora una volta quel vuoto rassicurante che tanto faceva comodo in occasioni del genere.


Il diretto delle quattro e un quarto rallentò nuovamente. Fuori, ufficialmente albeggiava. Ma sapeva bene che il suo ideale di alba non esisteva: lo scarto tra luce e oscurità era lento, lentissimo, insignificante. Di albe ne aveva viste abbastanza da non crederci più; a mano a mano che il tempo passava, tutto sapeva di immobilità.
Tralasciò quello squallido spettacolo, e tornò dentro a tutti gli effetti. Sbuffò ancora una volta, si risistemò nel sedile con un gesto ormai senza tempo, accennando uno sbadiglio di convenienza. La voce annunciò che tra poco si sarebbero fermati, e quindi cercò qualcosa di conclusivo da dire per salutarla. Ma lei lo precedette.
"Alla fine, è autunno per tutti."
La vide alzarsi, sorridergli dalla soglia dello scompartimento e scomparire nel corridoio. Seguì con lo sguardo quella figura alta e bionda, infagottata dentro un giaccone marrone e circondata da due valigie enormi, che si allontanava ignara del proprio destino - come ogni essere umano che si rispetti. La seguì finché non scomparve nella folla nascente che già minacciava di popolare il corridoio del diretto delle quattro e un quarto. E poi diede una rapida occhiata fuori dal finestrino, per vedere se là fuori c'era ancora qualcosa da vedere, o magari era già incominciata la galleria.

giovedì, 5 ottobre 2006

non abbiate paura


Dibattito profondo a tg2 10 minuti, sulla puntata di ieri sull'assurdo partito pedofilo in Danimarca.


Perché non parlarne in prima serata? Perché i genitori non devono avere paura di parcheggiare i pargoli davanti al televisore. La televisione difatti svolge un'importante attività educativa e formativa, da cui - questo il messaggio - bisogna poter attingere con fiducia. Senza paura di scene o argomenti scabrosi come la pedofilia o la guerra.

Tanto ci pensano le Isole, le Pupe, i far west, gli Amici, l'Italia sul 2 , i Circhi, a tenervi compagnia.


Immagine tratta da Wikipedia

domenica, 1 ottobre 2006

perché pensar male?

Non c'è niente di male ad ammettere di aver sbagliato. Dopotutto non è altro che affermare che oggi si è più saggi di ieri.
E infatti titolare a moralità limitata è stato un errore. E' bastata una puntata di Report, neanche vista per intero, per cambiare idea. La moralità è davvero una grande cazzata.

Non perdiamo tempo a chiederci se giusto coincida con legale e viceversa. Il finanziamento ai partiti è qualcosa di talmente lontano dalla nostra cultura - comunque e dovunque esso avvenga - che basta una manciata di dati a lasciarci quel senso amaro di desolatezza, come quando la cioccolata è finita, che tanto si addice alla domenica sera. Anche se la politica e la società mai potranno avere su di noi l'influenza che ha del buon cioccolato, il problema si pone eccome.

Sia chiaro, il tema passerà inosservato, soppiantato da qualsiasi altra notizia. E la cosa non stupisce (come potrebbe!?). L'importante è non dimenticare. L'importante è essere consapevoli che quando ci si alza alle otto della domenica per recarsi a votare, quando si scende sotto casa contro una guerra, quando si firmano petizioni o si ascoltano indignazioni, tutto sarà comunque vano. La speranza, in certi casi, è la prima a morire, su tutti i fronti, senza appelli o risurrezioni o vite future.


Per cui, da una convinta compartecipazione alla vita democratica all'insegna del meno peggio, con annessa disponibilità alla messa in discussione, al confronto e al dialogo ad ogni condizione, dobbiamo passare a una disillusa partecipazione alla vita democratica, all'insegna del meglio di niente. Consapevoli che niente servirà a qualcosa, che tutto non servirà a nulla, e soprattutto che l'unico sforzo possibile sarà quello di continuare ad indignarsi e stupirsi.

Sarà sempre così. Tanto vale non adeguarsi.

martedì, 26 settembre 2006

a moralità limitata

Pare che l'unica garanzia di sana moralità e solidi principi, sia l'adesione senza riserve ai sacri Valori della nazione, e ovviamente un forte spirito di religiosità possibilmente nostrana.

Andatelo a spiegare ai vari che se ci fosse la pena di morte da darla a certa gente, come pedofili, sequestratori, assassini. Che dichiarano con candore che sarebbero a favore, se non fossero cattolici, e tutti annuiscono.
Andatelo a spiegare ai parenti di chi è saltato in aria perché la mafia proprio non gli piaceva, di chi è finito male perché senza scorta, di chi quotidianamente ci lascia la pelle per la sostanziale generale indifferenza, che la vita è un valore sacro per lo stato.

Dispiace notare che c'è un impellente bisogno di appellarsi a qualcosa di molto in alto, per evitare discorsi, considerazioni, messe in discussione. Di recente vanno di moda i valori, discesi direttamente dalle divinità di turno, codificati nella roccia da uomini onorevoli, che si sacrificano per dare loro la giusta dignità. Ecco dunque il Bene e il Male, la Tradizione, la Famiglia e una manciata di diritti quantomai in auge rispetto a umanità, dignità, onestà, legalità e molto altro.
Non interessa tanto di come questi sacri principi siano onorati da chi tanto li difende. Il problema è da dove vengono. Sono confezionati ad hoc per la dichiarazione al giornalista di turno, ed a mano a mano entrano nella mentalità comune come baluardi in cui trincerarsi.

Utili, perché impediscono un qualsiasi confronto su qualsiasi tema: basta invocarli. Però si potrebbero estendere cose come reversibilità di affitti e pensioni, o diritti di visita in ospedale, a tutte le convivenze in generale... Assolutamente no. La Famiglia non si tocca. Noi difendiamo la Famiglia da chi vuole attaccarla e disgregarla. Per quelle cose c'è già il matrimonio. Ma se quello non ne può più, è proprio giusto giusto che non possa disporre della sua esistenza? Parliamone! Sia mai detto. La Vita è un sacro principio che va difeso con forza a tutti i costi da chi la attacca. Il dialogo ci può essere, ma non può essere finalizzato neanche lontanamente alla legalizzazione dell'eutanasia.
E così via.

Non sarebbe eccessivamente difficile, basare ogni giudizio e dichiarazione su un opportuno ragionamento, in cui tutto sia potenzialmente in discussione per giungere a una soluzione quantomeno logica. Ma la tentazione di giudicare il vicino di casa che magari non si vede mai, quando il giornalista te lo chiede, è troppo forte. Come la tentazione di attaccare un religioso che fa accenni non proprio chiarissimi, senza aver letto quello che ha detto, affidandosi ai titoli di giornale. Che poi è lo stesso, che parlare degli affari degli altri senza conoscere neanche i propri, facendosi liberi giudici di tutto il resto. Imponendo i nostri principi e valori davanti a ogni possibile dialettica, perché solo noi sappiamo cos'è giusto - e cosa deve essere giusto - per gli altri.

Il problema sorgerebbe nell'eventualità che i pilastri di tanta moralità venissero meno. In un mondo ipotetico senza religioni o scuole di pensiero, senza indici, senza commentatori, come faremmo a prendere una decisione, a fondare un discorso, se l'unica cosa che ci rimarrebbe sarebbe la ragione, che non siamo certo abituati ad usare? Se la legge - sociale, morale, statale o religiosa non importa - accettasse il linciaggio e sancisse il diritto alla sopraffazione, come ci comporteremmo? A cosa appellarsi, se crediamo che uccidere è comunque sbagliato, che la violenza va impedita, che chi ha bisogno va aiutato? A cosa, se rimanesse solo l'uomo di fronte al desolante spettacolo dell'universo?

Si può citare finché si vuole, ma alla fine rimane sempre una citazione.

Immagine tratta da Wikipedia.

venerdì, 22 settembre 2006

annozero

Fa impressione, vedere un programma del genere.
Finalmente i politici sono in minoranza.

in alto


Da qui, messere, si domina la valle.
Ciò che si vede, è.


L'obiettivo non è la cima. Sarebbe la cima se non fossi in montagna. Non è la quota, il dislivello, il record.

Sali finché puoi. Lontano da tutto il resto. Il tempo se ne sta seduto da qualche parte, mentre cammini, cammini come non hai mai camminato, come non cammineresti mai per tutto l'oro del mondo.
Ma lo fai lo stesso. Senza ripensarci troppo.

Non è una sfida. La montagna non va sfidata, vince sempre. Se volessi sfidarla, attrezzeresti la roccia, un pilone della seggiovia quà e là, giù qualche albero a far posto allo sciatore. Non costruiresti il rifugio. Non ci andresti neanche a piedi, se fosse per dimostrarle che non ti fa paura.

Magari è una sfida con se stessi. O con tutti gli altri, che è identico. Una botta di egolatria, volendo. Qualcosa di cammuffato dietro taanto amore per la natura, qualcosa che chiamano squallidamente ritorno alle origini, un eremitismo temporaneo, un eroismo di plastica. Oppure semplicemente è un modo come un altro di ingannare il tempo.


Di certo, uno dei migliori.

giovedì, 21 settembre 2006

parole da vendere

Ci sono libri che non serve leggerli.
Come Il treno d'Istanbul di Graham Greene. Non serve arrancare oltre pagina sedici. Non c'è bisogno di un segnalibro. Bastano le ultime tre righe della recensione:

Ogni fermata significa la fine di un'illusione, l'avvicinarsi inevitabile di una resa dei conti cui solo i più furbi ed egoisti, coloro che non amano e dimenticano, potranno sottrarsi.
Libri che vale la pena di leggere, come il divertente Il nostro agente all'Avana dello stesso Greene, ironici, appassionanti, completi allo stesso tempo. Così Una pistola in vendita, sempre suo.

Poi capitano cose come Almost Blue, di Lucarelli, o ancora Un giorno dopo l'altro. Meno sopportabili di Blu Notte. Il tono dopo un po' stomaca, la storia regge e interessa. Forse perché è meno distante da noi, quello che scrive, forse perché un giallo dove il detective si chiama Grazia è meno eroico, meno esotico, meno epico. Magari perché il libro estero è estero, è un altro mondo di nomi e sensazioni, e possiamo abbandonarci alla storia più facilmente. Alla fine, il libro è una storia.

Che poi leggere Come un romanzo di Pennac fa sempre bene.

Rifugio Lago Rodella / Radlseehuette


Salita: 2.30 ore
Discesa: 2.30 ore
Dislivello: 904 m


In strada da Bressanone, si raggiunge il maso Perlunger (passando per Tils e Gereut), 1380m. Da lì, a piedi sul sentiero 8, quasi interamente nel bosco, arrancando per vario tempo tra mulattiere a scarsa pendenza, ciottolati ripidi, gradini fangosi. Al bivio con il sentiero 8a, presso un crocifisso, si prosegue sull'8. Una volta raggiunto il terzo crocifisso, nei pressi di una recinzione, in breve tempo termina il bosco. Si cammina per circa mezz'ora, su pascoli d'alta quota, incrociando la teleferica del rifugio. Dopo poco, il rifugio (aperto d'estate; 0472 85 52 30; AVS), grande e molto frequentato; ottima cucina. Si torna sulla via dell'andata, eventualmente prendendo il sentiero 8a (più ripido ed esposto), che si ricongiunge con l'8.

Difficoltà: nessuna, per escursionisti allenati. Gita faticosa sia in salita che in discesa, ma altamente remunerativa per lo splendido paesaggio. Nel bosco, attenzione a radici e fango, soprattutto in caso di pioggia. La camminata sembra interminabile, ma vale la pena.

Dal rifugio: anzitutto, il lago Rodella, a pochi metri dall'edificio. Con altri 150m di salita (facile; andata 30' - ritorno 25') si raggiunge la cima Koenigsanger, tramite il sentiero 7, con vista
panoramica.

mercoledì, 20 settembre 2006

Gran Pilastro / Hochfeiler



Salita: 3 ore almeno
Discesa: 2.30 - 3 ore
Dislivello: 992 m


Si prende il sentiero 1 dal terzo tornante della strada per il Pfitscher Joch / Passo di Vizze (da Vipiteno/Sterzing; parcheggio segnalato). Dopo dieci minuti, passato il bivio per il bivacco Messner (Hochferner), si prosegue sempre seguendo il segnavia 1, tenendosi a sinistra una volta nei pressi di un gruppo di casupole. Il sentiero si inerpica lungo il bosco, per circa 1.30 ore; molta attenzione ai piccoli salti di roccia da 1-1.5 metri, nell'ultima parte del percorso, con fango o pioggia. Inizia poi la lunga salita, con pendenza accettabile, lungo il costone della montagna. Si supera un tratto esposto (la prima trentina di metri è attrezzata) fino a una serie di tornanti ripidi. Il rifugio è in vista: il sentiero si fa più semplice e meno esposto, e in circa un'ora si raggiunge l'Hochfeilerhuette (almeno 3 ore dalla partenza). Il rifugio (dell'AVS: tel. 0472 64 60 71; aperto d'estate; locale invernale con 6 posti) è del 1986. I locali sono accoglienti, la gestione è buona.

Difficoltà
: trascurabili per escursionisti allenati, assolutamente privi di vertigini. E' necessario passo fermo nei tratti a strapiombo sulla valle, molta attenzione in caso di fango. Conviene informarsi sull'agibilità del sentiero (neve, ghiaccio).

Dal rifugio: l'Hochfeilerhuette è meta di partenza per la salita all'Hochfeiler (3510m), massima cima delle Alpi Aurine, nonché per la traversata della vedretta e di una forcella verso il rifugio Ponte di Ghiaccio (Edelrautehuette). Trattandosi di percorsi molto più impegnativi, è richiesta attrezzatura e pratica di montagna, roccia e ghiaccio. L'escursionista medio può accontentarsi della splendida posizione tra i ghiacci e i "tremila" e della collocazione tipicamente di alta montagna, che ripagano enormemente la fatica.

lunedì, 10 luglio 2006

capocciate e cardiopalma







CAMPIONI DEL MONDO!
CAMPIONI DEL MONDO!

CAMPIONI DEL MONDO!!!




(e ora toccherà aggiungere una stella allo stemma della figc...)



giovedì, 6 luglio 2006

comunque, è uno che si era perso


Scultura in bronzo di Cristoforo Colombo al Central Park di New York. Tratta da Wikipedia.

sabato, 18 febbraio 2006

chi è il vero pollo?

Fantastico. La politica riesce a convincere gli elettori che vivranno in un mondo migliore, certe volte che già vivono in un mondo migliore, ma di far mangiare di nuovo il pollo agli italiani, manco a parlarne.

Saremo mica un paese di sovversivi?

lunedì, 30 gennaio 2006

domenica, 29 gennaio 2006

Non dite che non vi avevamo avvertito

La NASA è pur sempre un ente governativo.
Certo che se il Pentagono avesse affermato davvero che il surriscaldamento sarebbe una minaccia più grave del terrorismo... chissà quanti nemici della patria toccherebbe epurare.

Scienziato lancia l'allarme clima Nasa lo censura: "Stop conferenze"

sabato, 28 gennaio 2006

L'enigma senza fine

Un gioco praticamente interminabile, intelligente e accattivante. Dategli un'occhiata.


www.enigmi.net

martedì, 24 gennaio 2006

guardare avanti

Lutto per la tv di qualità. Domenica prossima Mara Venier lascia la fascia dalle 14 alle 16, a causa delle brutte immagini che una padrona di casa come lei avrebbe preferito evitare. Ci sentiremo più soli. Il battibecco fra i protagonisti dello schermo, i nostri Pappalardo e Zequila, è degenerato in un teatralissimo alterco fra due istrioni della pubblica reteuno, rinfacciantisi rispettive ingiurie, davanti allo sguardo orrifico degli astanti. Ci chiediamo cosa si inventeranno adesso, adesso che non c'è più la Mara nazionale, adesso che i Due sono stati banditi dall'ammiraglia Rai, per mantenere adeguato il livello di spazzatura della tivvù di domenica pomeriggio.

Intanto propongono di appiccicare il bollino "pagato col canone rai" sulle trasmissioni pagate coi soldi nostri. Sono soddisfazioni. Almeno sapremo chi è l'idiota che ha finanziato questo o quel programma, se siamo stati noi o il premiato biscottificio Pastrufeglia di Fregnello Balsamo.


Passiamo alla politica. Manifesti acuti e pacati sul sito www.forzaitalia.it, obiettività a tutto spiano sul meno noto www.sprechirossi.it. Da segnalare il kit di sostegno del bravo forzaitaliota, (notare http://www.forzaitalia.it/sms_cens.htm e http://www.forzaitalia.it/sms.htm) dove si dispensano consigli per affrontare, con avvedute manovre, la giungla dei media ormai in mano a chi sta rovinando l'Italia. Rinnoviamo il nostro sostegno a tutta la Casa, al Buongoverno, a tutti quelli che ci conoscono, e in particolare ai webmaster del sito, che hanno pensato bene di chiamare le immagini 01_tarocchi.jpg, tanto per rendere chiare le idee.


Incidentalmente, per quanto riguarda la leva obbligatoria, ci teniamo a precisare che la legge originale dell'8 maggio 2001 (le elezioni si svolsero il 13 maggio) indicava (all'art. 7 comma 1)

1. Il servizio obbligatorio di leva e' sospeso a decorrere dal 1° gennaio 2007. Fino al 31 dicembre 2006, le esigenze delle Forze armate sono soddisfatte ricorrendo ai giovani soggetti alla leva nati entro il 1985.

mentre le modifiche del governo Berlusconi (31 agosto 2004) hanno intaccato così lo stesso comma

1. Le chiamate per lo svolgimento del servizio di leva sono sospese a decorrere dal 1° gennaio 2005. Fino al 31 dicembre 2004 sono chiamati a svolgere il servizio di leva, anche in qualità di ausiliari nelle Forze di polizia ad ordinamento militare e civile e nelle amministrazioni dello Stato, i soggetti nati entro il 1985. La durata del servizio di leva e' quella stabilita dalle disposizioni vigenti.

Dunque è un cavallo di battaglia che non meriterebbe di figurare nelle scuderie del polo, in fin dei conti. Precisamente.

Ma torniamo a noi. Notizia delle 10.24: "Silvio Berlusconi conferma che il centrodestra sta preparando un piano per 'dare una casa a chi non ce l'ha' da realizzare in caso di vittoria del centrodestra alle prossime elezioni". Contemporaneamente, in caso di voto a maggio, i cittadini italiani potranno assistere alla moltiplicazione dei pani, dei pesci e delle zucchine (che di questi tempi fanno sempre comodo), a tutti gli uomini calvi sarà garantito un trapianto di capelli, i treni arriveranno in orario, saremo più importanti nel mondo, torneranno finalmente le mezze stagioni e ci sarà più lavoro per tutti, senza dimenticare che agli imputati di ogni ordine e grado saranno assicurati (in caso di condanna in primo grado) tre speciali in prima serata su Porta a Porta con ospiti e plastico a scelta.


Nel frattempo, a parte le battute, ci viene da chiederci il perché, alle tanto rinomate stragi non si dedica altro che una angosciante puntata di Blu Notte o.m.p. (ad ogni morte di papa) . Alla gente probabilmente interessano di più i misteri italiani, che le lunghe digressioni su Cogne e su quanto piace ballare agli italiano, che affollano i talk-show d'opinione in prima e seconda serata. Se non altro, ai parenti delle vittime.

per fare un esempio, il DC9 I-TIGI di Ustica, con un'interessante discussione su http://www.politicaonline.net/forum/showthread.php?s=c09923372077d601c08e81984fa3ae2f&threadid=173226), e un buon libro di Luigi di Stefano, "Il Buco", Vallecchi

giovedì, 19 gennaio 2006

La terza guerra mondiale cominciò così, e poi ce ne furono altre tre

Terra! va letto. Trecentodiciassette pagine che meritano. Benni ci ha infilato di tutto, e ne è uscito fuori un pentolone scatenato, divertente e intelligente, dove la fantasia mescola finzione e realtà, dove la fantascienza è la carta oleata su cui trasuda una società moderna che è la sua stessa parodia. Personaggi decisamente originali, come in buona parte dei suoi libri, una storia che attrae, decine di digressioni e intrecci e sotto-storie, con il consueto filo ironico che regge tutto questo ed altro ancora, di corsa fino all'ultima pagina.

Sarebbe bello avere ancora un decimo della fantasia di Stefano Benni; forse vivremmo in un mondo migliore. Sicuramente meno grigio.


Stefano Benni / Terra!; Feltrinelli (317 p.)

martedì, 10 gennaio 2006

così non va

Che fine ha fatto la DSSA, il servizio segreto parallelo?

Il grande Enzo Biagi?

La parte seconda del tg2 delle 20.30, a cosa serve? Perché esiste? C'è differenza con la prima parte?

Se non possiamo fidarci dell'Iran e delle sue centrali nucleari - con cui potrebbe produrre armi nucleari - perché ci fidiamo di tanta altra gente che già ce le ha?

Che significa costruttore di pace? Che significa eroe? Forse ci si dovrebbe mettere daccordo, quando si dice qualcosa, cosicché tutti capiscano cosa si vuole intendere. La lingua si sta impoverendo, o piuttosto sta diventando una Neolingua che cerca di farci stare in pace con noi stessi?

(L'aviaria ce l'eravamo dimenticata: ma a volte ritornano.)

Ma è normale che la CIA prelevi la gente all'estero, senza troppi convenevoli, in nome della guerra al terrorismo, e che da noi non faccia praticamente notizia? Mica per niente, il fatto è che le cose in nome di qualcosa o qualcuno... Per carità, ne hanno tratto un sacco di bei film. Ma ci hanno portato dove ci hanno portato.

Ma gli austriaci e i tedeschi sono più intelligenti di noi, che hanno il coraggio di condannare il negazionismo di Irving ed i gesti di alcuni tifosi del Braunau, o siamo noi che siamo messi peggio?

I politici perché fanno politica? Insomma, uno parla sodo una vita... ma perché?!?

Benjamin Franklin: "chi è disposto a rinunciare alla libertà per la sicurezza, non merita né l'una né l'altra".

giovedì, 5 gennaio 2006

ipercubo, ovvero come sforare di una dimensione ed essere felici

In principio era il punto. Un punto, zero dimensioni. Ad una dimensione, il punto è libero di scivolare in una direzione, ed ecco il segmento. In due dimensioni, il segmento fatto scivolare in una direzione a lui perpendicolare, genera un quadrato. In tre dimensioni il quadrato, fatto scivolare ancora una volta su una direzione a lui perpendicolare, dà il cubo. E in quattro dimensioni?

Il problema non è un problema. O meglio, non è uno di quei problemi che normalmente ci assillano. Può però essere interessante. Un certo Abbot, sul suo Flatlandia, ha inventato una storiella piacevole su un quadrato che si ritrova a viaggiare in mondi a zero, una, due, tre dimensioni. E di volta in volta, si trova davanti allo stupore dei tizi di dimensioni più piccole, che non riescono a percepire la dimensione superiore: lui stesso, essere 2D, ne vede una sola. Poi approda al mondo a tre dimensioni, tutto contento, e per azzarda un'ipotesi: e se ci fosse una quarta dimensione? e una quinta?

Quel gruppo di persone che sono chiamati matematici, da tempo hanno affrontato la questione. E' possibile concepire matematicamente queste entità, ed addirittura (vedi i link qua sotto) visualizzarli in due o tre dimensioni (così come è possibile disegnare un cubo 3D su un foglio, che è a due dimensioni). Poco più di una curiosità, ispirazione per qualche artificio architettonico. Ecco tutto.

http://www.vertebra.com/ddr/java/ipercubo.html
http://en.wikipedia.org/wiki/Hypercube
http://mathworld.wolfram.com/Hypercube.html
http://mathworld.wolfram.com/Tesseract.html
http://www.maecla.it/bibliotecaMatematica/af_file/Vertici,%20spigoli%20e%20facce%20di%20cubi%20.ppt
http://www.dogfeathers.com/java/hyprcube.html
http://www.hypercube.it/ita/hypercube.htm
http://www.bta.it/riv/most/1995/09/01/a0/itIpercubo.html

mercoledì, 4 gennaio 2006

il segnale che corre sul filo

Inizia a diffondersi l'abitudine di svincolarsi dai provider tradizionali di telefonia. L'obiettivo è spendere meno, in alcuni casi non spendere nulla, abbattendo i costi dell'instradamento delle chiamate sulla normale linea fisica.

Voip, ossia Voice over IP, tecnologia che consente di effettuare chiamate instradate sulla normale connessione ad internet. In questa maniera, il segnale digitale viaggia via internet, partendo dal computer o da telefoni particolari (che non costano neanche tanto, dai 30€ dei telefoni USB che hanno bisogno di un computer acceso, al centinaio di euro per cordless più sofisticati) e raggiunge soltanto alla fine la normale linea analogica. Se Astolfo, residente a Salerno, chiama Ermengarda, che è in Cile per lavoro, non dovrà fare altro che usare il software di turno e comporre il suo numero. Il segnale viaggerà criptato via internet, fino a raggiungere il gateway in Cile più vicino ad Ermengarda, che trasferirà il segnale sulla linea convenzionale, per giungere a destinazione.

Il servizio - o meglio, questo servizio - non è gratis. Ha però il vantaggio di costare molto poco: si parla di cifre intorno ai 0.015 € al minuto (la tariffazione è al minuto) per particolari destinazioni, in cui evidentemente i gateway delle compagnie sono meglio distribuiti. Punte di € 1.739 al minuto per località sperdute come Diego Garcia (Skype), o di € 7.200 per chiamate ai telefoni satellitari e a servizi speciali di alcuni paesi (Skypho), ma le medie sono decisamente più basse, si tratta di esempi estremi. In ogni modo, trattandosi di chiamate internazionali, i prezzi sono decisamente inferiori al normale. Per fare l'esempio di Diego Garcia, siamo intorno ai 3.160 € al minuto più scatto alla risposta.

Di veramente gratis ci sono le chiamate con altri computer. Ermengarda farebbe un grande piacere ad Astolfo, se avesse la gentilezza di accendere un computer ed usarlo anche lei, il software dell'amico salernitano. Lì non ci sono davvero problemi; basta spulciare fra i programmi per scegliere quello con le aggiunte più interessanti (segreteria telefonica, automessaggi, instant messenger, videochiamate...) e il gioco è fatto. Basta accordarsi con il destinatario: scegliere un software ed usarlo. Se ci si limita a questo, nessun costo, a parte forse leggeri disturbi o ritardi nella comunicazione, che dipendono però dalla velocità della linea, dalle prestazioni e dal carico di lavoro del computer. In un'epoca di grande diffusione delle line DSL, o con un Internet Café alla mano, la qualità della linea analogica è quasi garantita.

E il Voip va a sovrapporsi ad altre tecnologie: da provider di telefonia che forniscono abbonamenti ADSL con traffico su Voip, a telefoni che si svincolano sempre di più dalla necessità di avere un pc acceso. Basta dare un'occhiata sulle sezioni Store e Acquisti dei siti dei tanti software Voip. Poi, il numero di gateway che fanno da ponte tra il Voip e la linea tradizionale, è destinato a crescere, ed i costi della chiamata di Astolfo verso il Cile scenderanno ancora. Aspettando un futuro non troppo lontano, quando la maggior parte di noi farà uso di aggeggi come Skype, per telefonare.

A proposito, Diego Garcia è un territorio d'oltremare britannico, 44 kmq a 1600 km dall'India. Oggi ospita una grossa base militare statunitense. O meglio, non oggi, dal 1966 e per settant'anni, e il governo britannico ha pensato bene di scacciarvi gli Ilois, trasferendoli a Mauritius. Ma non voglio togliervi la curiosità di scoprirlo da soli: una bella ricerca su Google e passa la paura.

http://web.skype.com/home.it.html
http://www.asterisk.org/
http://www.skypho.net/

benvenuti nel ventunesimo secolo

Ci informano che l'elite religiosa saudita ha lanciato una sorta di anatema, nei confronti della versione locale del Grande Fratello. Prodotta in Libano, quindi lontana da possibili interventi diretti; e allora parte la fatwa contro chi produce e chi guarda il programma.
Da noi, intanto, partono gli spot televisivi sulla sesta (!) edizione del programma. Che per l'occasione, sarà condotta da Alessia Marcuzzi, ed andrà in onda in versione integrale sul più appropriato digitale terrestre. Per la gioia per quei milioni di telespettatori che si trastullano con minuti e minuti di fronte all'immagine di plastica di vite altrui, per un gusto che non è certamente voyeuristico, ma che neanche è improntato al razionalismo più bieco e meschino di chi, in tv, pretende ancora di vedere programmi intelligenti e soprattutto profondi.

Ora. A parte il fatto che non possiamo scandalizzarci troppo per il proclama delle autorità religiose saudite (ci sono ben altre cose per cui scandalizzarsi, in giro per il mondo). Cerchiamo di concentrarci su quello che sta diventando la televisione, in questi ultimi tempi. Senza scadere in banalità, come la condanna di programmi inutili e dannosi che tengono incollati allo schermo bambini e ragazzi di tutte le età. Senza parlare del digitale terrestre, e di quanto si sia pubblicizzata (e diffusa, con soldi pubblici) una tecnologia che lascia di stucco, per quanto può essere considerata superflua e per quanto costa. Senza profonderci in discussioni su cosa significhi, al giorno d'oggi, passare la seconda o terza serata davanti a quei brillanti esempi di tempo sprecato che sono i talk show nostrani.

Il fatto più grave è che la televisione condiziona le nostre abitudini. Lo fa in maniera radicale. Il telegiornale normalmente si guarda a pranzo e a cena. Dopo pranzo, ai giovani spettano (a seconda delle età e dell'intelligenza residua) cartoni animati o telefilm o talk-show per parte del primo pomeriggio. Agli anziani, di mattina e di pomeriggio telenovelas, di sera cose indefinibili come la vita in diretta (cos'è? talk-show? varietà? avanspettacolo? informazione?) e gli immancabili quiz. E fin qui, tutto normale.

Da qualche tempo a questa parte, però, si sono fatti avanti programmi su programmi, nella fascia immediatamente dopo i tg. Una volta c'erano il Fatto di Enzo Biagi, Sarabanda, Striscia la notizia. Poi si è cominciato con i cinque minuti di attualità, e poi un pezzo di quiz. Col passare del tempo, ecco farsi avanti polentoni come Affari tuoi, che però hanno un difetto. Si prolungano al di là dei vecchi spazi definiti (alle 21), cominciano a rosicchiare prima cinque, poi dieci, poi quindici minuti.
E così che succede? Succede che i palinsesti si spostano in avanti, e che ci spostiamo pure noi, perché se una volta si andava a letto alle undici, oggi è alle undici e mezzo. Succede che piano piano si tende a cenare più tardi, per adeguarsi quasi inconsciamente ai ritmi del tg.

E allora la seconda serata perde ascoltatori, o meglio perde ascoltatori svegli, capaci ancora di reagire a quello che propinano loro, che si riscoprono qualche ora dopo spalmati su una poltrona, indolenziti e frastornati dalle quattro chiacchiere di quelli là davanti. E inoltre si sostituiscono - col beneplacido del pubblico che, si sa, non brilla per intelligenza - i film, quei baluardi del lunedì sera, con quel disastro che sono i film tv (thriller e catastrofici senza un minimo di coerenza), e ancora più felicemente con le fiction, quel sottoprodotto dell'ingegno umano che piace tanto agli italiani.

Le fiction, già, una versione rivisitata dei cari vecchi telefilm, infarcite di dialoghi improbabili, sceneggiature patetiche, recitatori (più che attori) capitati lì per caso. Sempre gli stessi, che inscenano storie che pretendono di appartenere alla nostra Storia, che vogliono risvegliare il nostro orgoglio nazionale, che si propongono come rappresentanti delle nostre vite. Banalità. Lontani anni luce dal Cinema, quella terra verde dove c'è un budget e c'è un obiettivo da ottenere in due ore, dove si selezionano forme e contenuti, dove si deve piacere al pubblico per sfondare le sale e sperare in altre forme di distribuzione (fra cui, ultima, la tv). Film (quelli veri, quei film che possiamo chiamare Arte) contro fiction, presupposto di qualità contro obiettivo di ascolti. Una contrapposizione che sul piccolo schermo tende a favore delle seconde, dei polentoni di una due quattro puntate che c'è gente che li aspetta con ansia, il lunedì sera. Basta prendere una qualsiasi guida televisiva, i film in programmazione si contano sulle dita di una mano.

Ma sono gli ascolti, quelli che contano! Di tutti e di più. Quantità, innanzitutto. Non importa se è bello, se vale, se è interessante, se ne vale la pena: basta che produca ascolti, che venda pubblicità. Meglio se invece di due ore fatte bene, ne dura sei. Miniserie, fiction, miniserie, fiction, miniserie, fiction. Film tv. Telefilm. E così via, per mesi, per anni, per sempre. Con il piccolo effetto collaterale che ci si assuefà, piano piano, alle forme ma soprattutto ai temi, e non importa di che si parla e come si parla, non importa se tutto sembra andare in un verso ben definito, momenti storici e scelte dei personaggi ben curati.

Alla gente piace. Alle reti televisive (i film costano di più) pure. Fin qui niente di male, non tutti sono condannati ad essere intelligenti. Ma chi non è daccordo, chi non è disposto a pagare venti o quaranta o cento euro al mese per un abbonamento satellitare, o spegne la tv (e sarebbe la soluzione più sana) o si adatta. E quindi vada per tizio o per caio, vada per il reality show, vada per il quiz in prima serata, vada per la fiction - seconda puntata in prima visione assoluta internazionale e cosmica (ci mancherebbe altro, è una fiction, è normale che sia sempre una prima visione, sono i film, quelli sì, che per quanto costano mandarli in prima visione è un evento). E quindi buon pranzo, buona cena, buona serata, tanto è meglio di niente, fa compagnia, poi è divertente, non cambiare che lo sto seguendo, e se la vicenda non ha né capo né coda fa niente, e poi distrae, meglio di niente, già.

Spegnere la tv sembra brutto.


Il silenzio è assordante.

martedì, 3 gennaio 2006

ecco pennac

Sorprendente. Almeno per chi non lo conosce. Il Pennac di Ecco la storia, che poi è il Pennac di La lunga notte del dottor Galvàn. Sorprendente perché non te l'aspetti sempre, di trovare per caso su uno scaffale qualcosa che valga la pena leggere.

Prendiamo dunque Ecco la storia, un libro sul libro, un'opera che parla di se stessa, di com'è nata, di cosa vuole raccontare. E' la storia di un dittatore di un paese del sud del mondo, ed è insieme la storia del viaggio dell'autore nella sua memoria. Si alterna tra finzione e realtà, tra narrazione pura e spunto narrativo che viene dalla quotidianità, dai viaggi fatti in sudamerica, dalle persone che ha conosciuto. I personaggi prendono corpo dapprima in quanto immagine di conoscenti di Pennac - per poi solidificarsi in figure concrete, che affina di pagina in pagina, fino ad un mescolarsi di vita e scrittura che finisce per prevalere, trasformando il romanzo in una fusione di realtà e immaginazione (che poi è proprio quello che è un romanzo). Un libro piacevole, divertente, caustico e ironico e distaccato al tempo, con un gusto particolare per la digressione che può far storcere il naso, se non ci si mette in testa che il romanzo non è la storia del dittatore agorafobico, che non è il colorito affiorare di ricordi dell'autore, ma vive e si alimenta entrambe le cose. Leggetelo, se non vi dispiace di farvi trasportare da quello che state leggendo, e se non vi accontentate del solito bestseller senza un minimo di stile e di poesia.

La lunga notte del dottor Galvàn è, al contrario, un libro nevrotico, rapido, breve come la storia che racconta, secco e incisivo come le aspirazioni baronali del giovane medico del titolo. Al protagonista, il compito di districarsi in una notte allucinante con un malato speciale che non si sente troppo bene, sognando biglietti da visita surreali su cui è scolpita l'imponenza accademica del possessore, una notte tra barelle che non scricchiolano e diagnosi e tute da meccanico. Piuttosto carino, tra il parodico e il grottesco, senza dubbio divertente. Messo in scena di recente da Giorgio Gallione, con Neri Marcorè.




Daniel Pennac / Ecco la storia; Feltrinelli (312 p.)
Daniel Pennac / La lunga notte del dottor Galvan; Feltrinelli (77 p.)

puzza di gas

L'anno inizia piuttosto bene.

Notizie preoccupanti dal fronte orientale, comincia a mancarci il gas russo, nel senso che ne arriva di meno. Colpa dell'Ucraina, dicono, quel paese arancione che (secondo la Russia) starebbe prelevando illegalmente un po' del gas destinato al resto d'Europa.
Da un lato la Gazprom, azienda con il 38,37% di partecipazione statale, diretta da giugno 2002 da Mr. Medvedev, da novembre 2005 "First Deputy Prime Minister of the Russian Federation" (primo vice primo ministro). Dall'altro l'Ucraina, indipendente dal 1991 e rivoluzionata, in maniera pacifica, da Yushchenko, praticamente un anno fa.

L'oggetto della contesa è il prezzo del gas russo per gli ucraini. Attualmente è intorno ai 50$ (1000 mc di metano). L'obiettivo dei russi sarebbe quello di imporre un prezzo di mercato, sui 230$, un aumento del 460%. Uno se li figura, questi giganti del metano. Si alzano nella mattina di un freddo inverno siberiano, scendono dal letto con le loro pantofole spelacchiate, e davanti a una tazzona di caffè corretto si dicono "oggi facciamo duecentotrenta", eppoi si infilano dentro a un cappottone lungo e caldo e accogliente per affrontare quello stesso inverno siberiano in cui si sono svegliati, beandosi di quanto sono comodi e di quanto stanno bene a casa loro.

O forse no. O forse la ragione dell'aumento stratosferico è tutta politica. E forse non è soltanto una reazione al pericolo di una Ucraina decisamente filo-occidentale (che pure, purtroppo, sortirà i suoi effetti, primo fra tutti il freddo di gennaio, per non parlare di un aumento che nel migliore dei casi sarà comunque importante per un paese che non naviga proprio nell'oro), forse è un modo tra i più efficaci per chiarire al mondo, una volta per tutte, che la Russia c'è ancora, che la Russia conta e pure tanto. Il Cremlino tiene in fin dei conti tutti sul filo del rasoio: gran parte degli approvvigionamenti di metano dei paesi dell'Europa centrale dipendono dalla Russia, e in un periodo come questo (tra crisi energetiche, blackout, aumento dei consumi) sancire con fermezza la propria importanza economica è sinonimo di rilevanza politica. Basta vedere come tremano Austria e Germania e come tremiamo noi, con un 19% di importazione ridotta.

E dunque, lo stesso paese che deve combattere con i problemi delle varie Cecenie che ogni tanto spuntano, lo stesso paese che inizia adesso il turno di presidenza del G8, si va ad affiancare ai signori del petrolio, al vertice della piramide politica di questo mondo. Un mondo che continua e continuerà a dipendere economicamente da questi paesi - rialzi del greggio e cose del genere - e che già da adesso è perlomeno invitato a fare con attenzione le proprie scelte politiche, cercando di non turbare eccessivamente quelli che adesso sono alleati, ma un domani chissà...

Niente, poi si parla di energie alternative, di grandiose scoperte (che poi risalgono a un po' di tempo fa) che meritano lo spazio su qualche tg dossier, uno speciale in seconda o terza serata, ma nulla più. Al massimo si costruiscono distributori di idrogeno quà e là, automobili ibride nascoste in un angolo del concessionario, carburanti con l'olio di qualcosa che cresce in Brasile e che ormai si alterna col petrolio nei serbatoi del sudamerica. Qualche pannello solare sopra i nuovi edifici a Roma, una manciata di mulini a vento sparsi per il mondo, generatori idroelettrici e così via. Ma perlopiù rimaniamo su fette piccole della produzione di energia, certe volte si tratta solo di giocattoli (per carità, non in senso dispregiativo!) diffusi tra i pochi che possono permetterselo, di fare gli ecologisti, dove per fare gli ecologisti si intende avere un minimo di rispetto per se stessi e il mondo che ci circonda, e un filo di sale in zucca.

Sembra proprio che toccherà aspettare un po' di tempo. Intanto continuiamo a convertire centrali a petrolio in centrali a carbone, aumentiamo la quantità di combustibili importati dall'estero. Si parla di costruire impianti che scongelino il metano a -160°C da importare via mare. Si parla di ritorno al nucleare, che andrebbe pure bene, se solo ci si potesse fidare un po' di più della buona gestione e dell'incorruttibilità italiane (è un luogo comune, ma fino a un certo punto).
Nel frattempo, i monti più ventosi d'Europa, vere miniere per l'energia eolica, le pianure più soleggiate del mediterraneo, il paradiso delle cellule termovoltaiche e fotovoltaiche, restano lì, insieme all'Enea, che in un paese più sensato e meno masochista avrebbe già rimpiazzato per importanza l'Enel e altri produttori di energie convenzionali. Ma da noi no, da noi si importa l'energia elettrica da Francia ed Austria, bella e pronta, con costi stratosferici in termini economici e politici, e piuttosto pratici visto che aumenti e tariffe li paghiamo tutti, ad ogni bolletta.

Ma come ci si può aspettare qualcosa di diverso, quando qualsiasi cosa diventa un affare politico, un gioco di palazzo, un mezzo di ritorsione non fra ideologie o scuole di pensiero, ma più banalmente fra lobby che idolatrano alternativamente Denaro e Potere? Radio, giornali, televisioni, sono pieni di dichiarazioni di politici che si dicono a favore o contro il nucleare. Farciscono i loro discorsi di parole come ritorno all'atomo, ma non hanno neanche idea di che cosa stanno parlando. Possono sciorinare numeri su numeri, statistiche su statistiche, sondaggi su sondaggi, ma non hanno la minima idea di cosa siano veramente la scienza e la tecnologia.

E' irresponsabile affidare esclusivamente alla politica scelte del genere. Perché il rischio - concreto - è di banalizzare ogni argomento riducendolo a slogan e frasi fatte che non spiegano quello a cui si riferiscono. Una scelta più consapevole la potrebbe fare un vero scienziato, un vero ingegnere, qualcuno che riesca - al di fuori delle logiche di partito - ad elencarne pro e contro in maniera il più possibile oggettiva. Perché inevitabilmente, un partito pro-nucleare tenderà a sottolineare soltanto gli aspetti positivi della faccenda, un partito anti-nucleare analogamente esalterà rischi e costi presenti e futuri. Ma questa non è obiettività: uno studio serio che abbracci tutte le tecnologie attuali per il sostentamento energetico, quella sarebbe obiettività. Che dica: il carbone inquina in questa maniera, il petrolio in quest'altra, l'idrogeno così, il nucleare, l'energia solare, l'eolico, il geotermico, l'idroelettrico hanno questi costi economici, questi costi ambientali. Che analizzi lo stato attuale delle cose e crei un piano nazionale per reinventare una auspicabile autonomia energetica, verificando cosa si può cambiare, dove si deve investire, cosa va aggiunto. Che non si limiti a semplici riconversioni da metano a bombola e da bombola a metano, ma che tenga conto in primis della superiorità delle energie alternative (praticamente inesauribili) e delle esigenze del pianeta in cui viviamo.

Altrimenti saremo condannati a guai peggiori dei black-out di qualche tempo fa. Disastri ambientali, schiavitù politiche, crolli economici, da cui sarà dura risollevarsi, ma che facciamo ancora in tempo ad evitare. Investendo massicciamente nella ricerca, svincolandosi dalla forte dipendenza da risorse estere e soprattutto da risorse costose e inquinanti e obsolete, prima che sia troppo tardi. C'è ancora tempo, forse.


http://www.gazprom.ru/eng/index.shtml
http://www.paginedidifesa.it/2005/cicchinelli_050108.html
http://www.beppegrillo.it/muro_del_pianto/energia/index.html


Auguri.