martedì, 3 gennaio 2006

puzza di gas

L'anno inizia piuttosto bene.

Notizie preoccupanti dal fronte orientale, comincia a mancarci il gas russo, nel senso che ne arriva di meno. Colpa dell'Ucraina, dicono, quel paese arancione che (secondo la Russia) starebbe prelevando illegalmente un po' del gas destinato al resto d'Europa.
Da un lato la Gazprom, azienda con il 38,37% di partecipazione statale, diretta da giugno 2002 da Mr. Medvedev, da novembre 2005 "First Deputy Prime Minister of the Russian Federation" (primo vice primo ministro). Dall'altro l'Ucraina, indipendente dal 1991 e rivoluzionata, in maniera pacifica, da Yushchenko, praticamente un anno fa.

L'oggetto della contesa è il prezzo del gas russo per gli ucraini. Attualmente è intorno ai 50$ (1000 mc di metano). L'obiettivo dei russi sarebbe quello di imporre un prezzo di mercato, sui 230$, un aumento del 460%. Uno se li figura, questi giganti del metano. Si alzano nella mattina di un freddo inverno siberiano, scendono dal letto con le loro pantofole spelacchiate, e davanti a una tazzona di caffè corretto si dicono "oggi facciamo duecentotrenta", eppoi si infilano dentro a un cappottone lungo e caldo e accogliente per affrontare quello stesso inverno siberiano in cui si sono svegliati, beandosi di quanto sono comodi e di quanto stanno bene a casa loro.

O forse no. O forse la ragione dell'aumento stratosferico è tutta politica. E forse non è soltanto una reazione al pericolo di una Ucraina decisamente filo-occidentale (che pure, purtroppo, sortirà i suoi effetti, primo fra tutti il freddo di gennaio, per non parlare di un aumento che nel migliore dei casi sarà comunque importante per un paese che non naviga proprio nell'oro), forse è un modo tra i più efficaci per chiarire al mondo, una volta per tutte, che la Russia c'è ancora, che la Russia conta e pure tanto. Il Cremlino tiene in fin dei conti tutti sul filo del rasoio: gran parte degli approvvigionamenti di metano dei paesi dell'Europa centrale dipendono dalla Russia, e in un periodo come questo (tra crisi energetiche, blackout, aumento dei consumi) sancire con fermezza la propria importanza economica è sinonimo di rilevanza politica. Basta vedere come tremano Austria e Germania e come tremiamo noi, con un 19% di importazione ridotta.

E dunque, lo stesso paese che deve combattere con i problemi delle varie Cecenie che ogni tanto spuntano, lo stesso paese che inizia adesso il turno di presidenza del G8, si va ad affiancare ai signori del petrolio, al vertice della piramide politica di questo mondo. Un mondo che continua e continuerà a dipendere economicamente da questi paesi - rialzi del greggio e cose del genere - e che già da adesso è perlomeno invitato a fare con attenzione le proprie scelte politiche, cercando di non turbare eccessivamente quelli che adesso sono alleati, ma un domani chissà...

Niente, poi si parla di energie alternative, di grandiose scoperte (che poi risalgono a un po' di tempo fa) che meritano lo spazio su qualche tg dossier, uno speciale in seconda o terza serata, ma nulla più. Al massimo si costruiscono distributori di idrogeno quà e là, automobili ibride nascoste in un angolo del concessionario, carburanti con l'olio di qualcosa che cresce in Brasile e che ormai si alterna col petrolio nei serbatoi del sudamerica. Qualche pannello solare sopra i nuovi edifici a Roma, una manciata di mulini a vento sparsi per il mondo, generatori idroelettrici e così via. Ma perlopiù rimaniamo su fette piccole della produzione di energia, certe volte si tratta solo di giocattoli (per carità, non in senso dispregiativo!) diffusi tra i pochi che possono permetterselo, di fare gli ecologisti, dove per fare gli ecologisti si intende avere un minimo di rispetto per se stessi e il mondo che ci circonda, e un filo di sale in zucca.

Sembra proprio che toccherà aspettare un po' di tempo. Intanto continuiamo a convertire centrali a petrolio in centrali a carbone, aumentiamo la quantità di combustibili importati dall'estero. Si parla di costruire impianti che scongelino il metano a -160°C da importare via mare. Si parla di ritorno al nucleare, che andrebbe pure bene, se solo ci si potesse fidare un po' di più della buona gestione e dell'incorruttibilità italiane (è un luogo comune, ma fino a un certo punto).
Nel frattempo, i monti più ventosi d'Europa, vere miniere per l'energia eolica, le pianure più soleggiate del mediterraneo, il paradiso delle cellule termovoltaiche e fotovoltaiche, restano lì, insieme all'Enea, che in un paese più sensato e meno masochista avrebbe già rimpiazzato per importanza l'Enel e altri produttori di energie convenzionali. Ma da noi no, da noi si importa l'energia elettrica da Francia ed Austria, bella e pronta, con costi stratosferici in termini economici e politici, e piuttosto pratici visto che aumenti e tariffe li paghiamo tutti, ad ogni bolletta.

Ma come ci si può aspettare qualcosa di diverso, quando qualsiasi cosa diventa un affare politico, un gioco di palazzo, un mezzo di ritorsione non fra ideologie o scuole di pensiero, ma più banalmente fra lobby che idolatrano alternativamente Denaro e Potere? Radio, giornali, televisioni, sono pieni di dichiarazioni di politici che si dicono a favore o contro il nucleare. Farciscono i loro discorsi di parole come ritorno all'atomo, ma non hanno neanche idea di che cosa stanno parlando. Possono sciorinare numeri su numeri, statistiche su statistiche, sondaggi su sondaggi, ma non hanno la minima idea di cosa siano veramente la scienza e la tecnologia.

E' irresponsabile affidare esclusivamente alla politica scelte del genere. Perché il rischio - concreto - è di banalizzare ogni argomento riducendolo a slogan e frasi fatte che non spiegano quello a cui si riferiscono. Una scelta più consapevole la potrebbe fare un vero scienziato, un vero ingegnere, qualcuno che riesca - al di fuori delle logiche di partito - ad elencarne pro e contro in maniera il più possibile oggettiva. Perché inevitabilmente, un partito pro-nucleare tenderà a sottolineare soltanto gli aspetti positivi della faccenda, un partito anti-nucleare analogamente esalterà rischi e costi presenti e futuri. Ma questa non è obiettività: uno studio serio che abbracci tutte le tecnologie attuali per il sostentamento energetico, quella sarebbe obiettività. Che dica: il carbone inquina in questa maniera, il petrolio in quest'altra, l'idrogeno così, il nucleare, l'energia solare, l'eolico, il geotermico, l'idroelettrico hanno questi costi economici, questi costi ambientali. Che analizzi lo stato attuale delle cose e crei un piano nazionale per reinventare una auspicabile autonomia energetica, verificando cosa si può cambiare, dove si deve investire, cosa va aggiunto. Che non si limiti a semplici riconversioni da metano a bombola e da bombola a metano, ma che tenga conto in primis della superiorità delle energie alternative (praticamente inesauribili) e delle esigenze del pianeta in cui viviamo.

Altrimenti saremo condannati a guai peggiori dei black-out di qualche tempo fa. Disastri ambientali, schiavitù politiche, crolli economici, da cui sarà dura risollevarsi, ma che facciamo ancora in tempo ad evitare. Investendo massicciamente nella ricerca, svincolandosi dalla forte dipendenza da risorse estere e soprattutto da risorse costose e inquinanti e obsolete, prima che sia troppo tardi. C'è ancora tempo, forse.


http://www.gazprom.ru/eng/index.shtml
http://www.paginedidifesa.it/2005/cicchinelli_050108.html
http://www.beppegrillo.it/muro_del_pianto/energia/index.html


Auguri.

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