mercoledì, 4 gennaio 2006

benvenuti nel ventunesimo secolo

Ci informano che l'elite religiosa saudita ha lanciato una sorta di anatema, nei confronti della versione locale del Grande Fratello. Prodotta in Libano, quindi lontana da possibili interventi diretti; e allora parte la fatwa contro chi produce e chi guarda il programma.
Da noi, intanto, partono gli spot televisivi sulla sesta (!) edizione del programma. Che per l'occasione, sarà condotta da Alessia Marcuzzi, ed andrà in onda in versione integrale sul più appropriato digitale terrestre. Per la gioia per quei milioni di telespettatori che si trastullano con minuti e minuti di fronte all'immagine di plastica di vite altrui, per un gusto che non è certamente voyeuristico, ma che neanche è improntato al razionalismo più bieco e meschino di chi, in tv, pretende ancora di vedere programmi intelligenti e soprattutto profondi.

Ora. A parte il fatto che non possiamo scandalizzarci troppo per il proclama delle autorità religiose saudite (ci sono ben altre cose per cui scandalizzarsi, in giro per il mondo). Cerchiamo di concentrarci su quello che sta diventando la televisione, in questi ultimi tempi. Senza scadere in banalità, come la condanna di programmi inutili e dannosi che tengono incollati allo schermo bambini e ragazzi di tutte le età. Senza parlare del digitale terrestre, e di quanto si sia pubblicizzata (e diffusa, con soldi pubblici) una tecnologia che lascia di stucco, per quanto può essere considerata superflua e per quanto costa. Senza profonderci in discussioni su cosa significhi, al giorno d'oggi, passare la seconda o terza serata davanti a quei brillanti esempi di tempo sprecato che sono i talk show nostrani.

Il fatto più grave è che la televisione condiziona le nostre abitudini. Lo fa in maniera radicale. Il telegiornale normalmente si guarda a pranzo e a cena. Dopo pranzo, ai giovani spettano (a seconda delle età e dell'intelligenza residua) cartoni animati o telefilm o talk-show per parte del primo pomeriggio. Agli anziani, di mattina e di pomeriggio telenovelas, di sera cose indefinibili come la vita in diretta (cos'è? talk-show? varietà? avanspettacolo? informazione?) e gli immancabili quiz. E fin qui, tutto normale.

Da qualche tempo a questa parte, però, si sono fatti avanti programmi su programmi, nella fascia immediatamente dopo i tg. Una volta c'erano il Fatto di Enzo Biagi, Sarabanda, Striscia la notizia. Poi si è cominciato con i cinque minuti di attualità, e poi un pezzo di quiz. Col passare del tempo, ecco farsi avanti polentoni come Affari tuoi, che però hanno un difetto. Si prolungano al di là dei vecchi spazi definiti (alle 21), cominciano a rosicchiare prima cinque, poi dieci, poi quindici minuti.
E così che succede? Succede che i palinsesti si spostano in avanti, e che ci spostiamo pure noi, perché se una volta si andava a letto alle undici, oggi è alle undici e mezzo. Succede che piano piano si tende a cenare più tardi, per adeguarsi quasi inconsciamente ai ritmi del tg.

E allora la seconda serata perde ascoltatori, o meglio perde ascoltatori svegli, capaci ancora di reagire a quello che propinano loro, che si riscoprono qualche ora dopo spalmati su una poltrona, indolenziti e frastornati dalle quattro chiacchiere di quelli là davanti. E inoltre si sostituiscono - col beneplacido del pubblico che, si sa, non brilla per intelligenza - i film, quei baluardi del lunedì sera, con quel disastro che sono i film tv (thriller e catastrofici senza un minimo di coerenza), e ancora più felicemente con le fiction, quel sottoprodotto dell'ingegno umano che piace tanto agli italiani.

Le fiction, già, una versione rivisitata dei cari vecchi telefilm, infarcite di dialoghi improbabili, sceneggiature patetiche, recitatori (più che attori) capitati lì per caso. Sempre gli stessi, che inscenano storie che pretendono di appartenere alla nostra Storia, che vogliono risvegliare il nostro orgoglio nazionale, che si propongono come rappresentanti delle nostre vite. Banalità. Lontani anni luce dal Cinema, quella terra verde dove c'è un budget e c'è un obiettivo da ottenere in due ore, dove si selezionano forme e contenuti, dove si deve piacere al pubblico per sfondare le sale e sperare in altre forme di distribuzione (fra cui, ultima, la tv). Film (quelli veri, quei film che possiamo chiamare Arte) contro fiction, presupposto di qualità contro obiettivo di ascolti. Una contrapposizione che sul piccolo schermo tende a favore delle seconde, dei polentoni di una due quattro puntate che c'è gente che li aspetta con ansia, il lunedì sera. Basta prendere una qualsiasi guida televisiva, i film in programmazione si contano sulle dita di una mano.

Ma sono gli ascolti, quelli che contano! Di tutti e di più. Quantità, innanzitutto. Non importa se è bello, se vale, se è interessante, se ne vale la pena: basta che produca ascolti, che venda pubblicità. Meglio se invece di due ore fatte bene, ne dura sei. Miniserie, fiction, miniserie, fiction, miniserie, fiction. Film tv. Telefilm. E così via, per mesi, per anni, per sempre. Con il piccolo effetto collaterale che ci si assuefà, piano piano, alle forme ma soprattutto ai temi, e non importa di che si parla e come si parla, non importa se tutto sembra andare in un verso ben definito, momenti storici e scelte dei personaggi ben curati.

Alla gente piace. Alle reti televisive (i film costano di più) pure. Fin qui niente di male, non tutti sono condannati ad essere intelligenti. Ma chi non è daccordo, chi non è disposto a pagare venti o quaranta o cento euro al mese per un abbonamento satellitare, o spegne la tv (e sarebbe la soluzione più sana) o si adatta. E quindi vada per tizio o per caio, vada per il reality show, vada per il quiz in prima serata, vada per la fiction - seconda puntata in prima visione assoluta internazionale e cosmica (ci mancherebbe altro, è una fiction, è normale che sia sempre una prima visione, sono i film, quelli sì, che per quanto costano mandarli in prima visione è un evento). E quindi buon pranzo, buona cena, buona serata, tanto è meglio di niente, fa compagnia, poi è divertente, non cambiare che lo sto seguendo, e se la vicenda non ha né capo né coda fa niente, e poi distrae, meglio di niente, già.

Spegnere la tv sembra brutto.


Il silenzio è assordante.

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