venerdì, 9 marzo 2007

due

"Non puoi dividere il mondo sempre nelle solite due parti!"
"Perché no?"
"Perché non funziona così!"
Infilò svogliatamente la mano sinistra nella ciotola delle noccioline. Mescolò quella massa unta e salata, fissando nel vuoto. Non era propriamente vuoto, ma non cambia molto.
"Cioè, vedila da un altro punto di vista." Ne inghiottì una decina. "Puoi farlo con cose semplici, che so, a chi piace e a chi non piace la cioccolata, ma diavolo non puoi venirmi a dire che c'è mezzo mondo che lo odia e l'altra metà che non vuole ammetterlo!"
L'altro gli rispose con l'aria più serena del mondo. Guardò con disprezzo quella mano che aveva violato la sua ciotola di noccioline.
"Ammetterai che c'è un fondo di verità..."
"No!". Mandò giù un sorso. "C'è un sacco di gente che non ha la minima idea di chi sia, Hampton Kelly, una grossa fetta che non gliene frega niente, se se ne resta vivo o ci lascia la pelle domani notte."
Riempì quell'attimo di pausa col fumo della sigaretta, provando inutilmente a plasmare una qualche figura con quell'aria malsana e puzzolente.
"Cosa dovremmo fare?"
Altra pausa. Era uno di quei discorsi che prevedevano molte pause, lo sapevano bene. Ma non uno di quei discorsi dove le pause contano più di quello che si dice, per loro fortuna.
"Beh, non lo so cosa dovremmo fare. Tu dici che hanno detto proprio lui?"
"Sì."
"E quanto?"
"Cinquantamila a testa, mi pare buono."
"Vabbè, sarà pure buono..."
"... poi sai come andrebbe a finire ..."
"No, non lo so come andrebbe a finire."
"Che oramai ci tocca."
"Ma non se ne parla proprio!" Assaggiò con cautela. "Avrò il diritto di decidere se ammazzarlo o meno?"
"Su, non fare come al solito..."
"Cazzo ma quando ti hanno chiamato?"
Quando lo avevano chiamato? Fece finta di pensarci un attimo.
"Stamattina sul presto, tu eri fuori."
"E hanno detto proprio Kelly?"
"Sì..."
Dopo un po', le noccioline sono tutte uguali. Un unico sapore secco e pastoso, per niente rotondo, che quasi gli dava fastidio. C'erano molte cose che gli davano fastidio.
"No, non lo possiamo ammazzare."
Pausa.
"Fosse solo perché non lo troviamo."
"Lo troviamo, lo troviamo..."
"Chi ci assicura che sia a Vienna?"
"Come chi ci assicura?!"
"Senti, a me questa storia puzza. Lo vogliamo fare fuori?"
"Beh..."
"Lo possiamo pure fare fuori, ma cazzo, Hampton Kelly!"
E qui seguì una specie di silenzio rispettoso, in cui fissarono di sfuggita la stanza accanto, tecnicamente piena. Avevano scelto un tavolo tecnicamente isolato, coi sedili di pietra e il soffitto di legno, e dei grossi lampadari di vetro color ambra che penzolavano minacciosi ad altezza d'uomo.
"Quello ci fa ammazzare!"
"Ma se è morto?"
"Non è morto!"
"Ma lo sarà."
"Certo, se lo ammazziamo noi. Ma qualcuno lo verrà pure a sapere..."
"Che è morto?"
"Non è morto! E verranno a sapere che siamo stati noi, cazzo, a Vienna!"
"Ora che c'entra Vienna?"
"Ma a chi altri verrebbe in mente di ammazzarlo a Vienna, scusa..."
"Beh, ce l'hanno detto."
"Appunto!" Inghiottì un altro sorso. "Se ce l'hanno detto a noi, significa che lo sappiamo, che... che bene o male possono arrivare a noi!"
"Non ti facevo così..."
"Come?"
"Dai, neanche fosse la prima volta..."
"Cosa c'entra? E' la prima volta che ammazziamo Hampton Kelly!"
Fecero silenzio. Arrivò un cameriere col porto, che depositò con calma lì da un lato. Era uno di quei camerieri anonimi, unti quanto le noccioline che puntualmente si portavano via, avvolto da un grembiule germanico insignificante e marrone.
"E' la prima volta che ammazziamo Kelly", fece non appena l'uomo unto scricchiolò via. "Non credo di essere pronto a tanto."
"Ora sei tu che esageri." Avvicinò cautamente le labbra al vino. "Ora per una volta che ci dicono in anticipo chi è..."
"Cacchio!"
"Voglio dire, è una cosa come un altra..."
"Hampton Kelly?"
"Sì, quel fottutissimo Hampton Kelly, non andrà in giro con la scorta..."
"Non a Vienna, certo", concordò, e bevve. "Ma poi che ci fa a Vienna?"
"Non me l'hanno detto."
"... come al solito. Immagino che non ti avranno detto altro..."
"Cinquantamila, Hampton Kelly, tra due giorni - stop."
"Ma gli hai parlato?"
"Beh, gli ho detto che probabilmente ci stavamo..."
"'Ci' stavamo??"
"... sì, e gli ho chiesto quando ci saremmo risentiti."
"E poi?"
"Mah, niente, si faranno vivi loro."
"Loro?"
"Dai, manderanno un corriere o qualcosa del genere..."
"Cioè non ti hanno neanche detto se richiamano?"
"No, cazzo, non passo la giornata al telefono!"
"Ma Hampton Kelly!!"
"Oh, la fai lunga... abbiamo accettato di peggio, vediamo a Vienna come va e alla peggio spariamo da qualche parte."
"Sarà." Finì il bicchiere e ci rifletté sù. "Spariamo in che senso?"
Domande del genere risvegliavano in lui un antico disprezzo. "Spariamo nel senso di sparire, cazzo, poi sono io quello che..."
"Porca puttana, dividi il mondo a metà con una facilità impressionante..."
"Ma tu negalo!"
"Che spariamo?"
"No, che metà del mondo lo odia."
"Cosa ne sai?"
"Tu lo vuoi morto?"
Se lo voleva morto... "Per cinquantamila euro?"
"Vedi, non vuoi ammetterlo", disse, prima di concentrarsi sul bicchiere. "Analisi perfetta, senza dubbio. Convincitene."
"Non sto dicendo che lo voglio morto..."
"Ma non stai dicendo che lo vuoi vivo."
"E con questo?"
"Con questo non vuoi ammetterlo, e quindi sei una delle metà del mondo."
"No, perché secondo te se fai la domanda al cameriere cosa ti risponde?"
"Che ne sa, il cameriere..."
"Appunto!! Non ha idea di chi sia, quindi non può volerlo morto."
"Non significa che lo voglia vivo." Spalancò l'occhio meno assonnato, per cercare quel cameriere. "Voglio dire, non vuole ammettere che lo odia anche se non lo conosce..."
"Ma non lo conosce!"
"Vorresti mai vivo qualcuno che non conosci?"
Era troppo tardi per riflettere su una domanda del genere. "Beh, no, ma..."
"Quel cameriere non ha la minima idea della differenza tra un porto e uno sherry, dai retta a me. Ti pare attendibile?"
"Cosa c'entra!?"
"Come cosa c'entra! E' il suo lavoro, cazzo..."
"Avrai tradotto male!"
"E' comunque il suo lavoro."
"Se è per questo è il mio lavoro ammazzare Hampton Kelly?"
"Suppongo di sì."
"E finirai per ammazzarlo comunque, anche se non vuoi ammettere che lo odi."
"Se 'qualcuno' sapesse rispondere a un telefono..."
"Quel cameriere non è legato ad Hampton Kelly almeno quanto te". Stavolta il bicchiere era vuoto, e ci rimase male. "Guardalo, è incazzato col resto del mondo, non distingue un porto da uno sherry. Non gliene può fregare niente se Kelly passa allegramente al mondo dei morti."
Non che fosse poi troppo sicuro che quello fosse effettivamente uno sherry. O un porto.
"Vabbè, lasciamo perdere. Alla fine ci toccherà ammazzarlo, quello stronzo."
"Vedi? Cominci ad ammettere di odiarlo..."
"Colpa tua, tua e di questa cazzo di mania di rispondere al telefono."
"Dovevo, lo sai bene."
"Beh, prepariamoci, perché oramai ci tocca." Vuoto. Appoggiò rumorosamente quel pezzo di vetro sul tavolo, e fece per alzarsi. "Ammazziamo quel figlio di puttana, e cerchiamo di non rimanerci secchi."
"Calma, prima toccherà aspettare un po'". Proseguirono verso l'uscita "Però se non lo ammazziamo, finisce che ammazzano noi..."
"Appunto!"
"Il rischio fa parte del mestiere."
"Il rischio e un mucchio di frasi ad effetto del cazzo?"
Se lo guardò. Tirò fuori una risata nervosa, una di quelle ben lontane dall'essere risate di felicità, o di divertimento, o entrambe. Andarono.
"Odio quel maledetto Hampton Kelly."
Sorrise, evidentemente aveva ragione. Metà del mondo, aveva detto. Loro erano in due.


Non avrebbe mai pensato che morire potesse essere così faticoso. Però il tizio con l'impermeabile giallo soffriva visibilmente, appeso con poche insufficienti falangi al cornicione davanti a lui. Dio, se sentiva nel suo sguardo implorante i muscoli induriti, che tremavano, la presa che cedeva, il terrore per quel volo di cinque piani a cui sicuramente non sarebbe sopravvissuto. Sentiva forte le mani maledettamente sudate, gli addominali contratti per aggrappare l'uno o l'altro piede a qualcosa che non riusciva a trovare, mentre quella figura gialla e malvagia si divincolava senza urlare.
Chissà poi perché uno dovrebbe urlare. Quello comunque non urlava. Era preoccupato, disperato, questo sì. Completamente consapevole di quello che sarebbe successo; assolutamente. Lottava, ma probabilmente non ci credeva troppo, anche se a dire la verità non avrebbe creduto neanche di finire in quel modo. Una morte per niente originale, senza dubbio; e in più sapeva perfettamente che non gli sarebbero bastate le forze neanche per afferrare la mano di qualcuno (che comunque non c'era).
Fissò quegli occhi piccoli e neri che si guardavano intorno senza attenzione. Che ci provava a fare? Non ci vedeva disprezzo nei suoi confronti, erano occhi freddi e distaccati come sanno essere solo gli occhi di una figura gialla e malvagia che precipita durante un sogno di bassa qualità, occhi piccoli e scuri. Era curioso come riuscisse a rovinare l'atmosfera di tante cose, troppe cose; a partire dai sogni, dove inevitabilmente era troppo furbo per non andare in giro da tutti i protagonisti del fottuto sogno facendo vedere quant'era bravo lui che se n'era accorto, e quindi rovinava tutto in maniera piuttosto idiota e desolante.
Niente, ormai era sveglio. Aprì gli occhi sbuffando, lanciò un'occhiata all'orologio e dimenticò gran parte di quello che aveva sognato. Gli sarebbe tornato in mente qualcosa verso mezzogiorno, ma di sfuggita, passando davanti ad una balconata vicino al Danubio, nient'altro.
Dall'altra parte della città, qualcuno si risvegliò dallo stesso sogno. La mattina era fredda e insignificante, squarciata da una luce altrettanto fredda e metallica, che poi era la stessa luce della Lange Gasse dove qualcun'altro ancora allungò disperatamente una mano nella penombra per fermare una sveglia inevitabile e indesiderata. Ci guadagnò l'illusione di altri quattro minuti per non dimenticare un qualche sogno che proprio adesso finiva di dissolversi, mentre una donna delle pulizie sveglia da troppo tempo sorpassava la stanza 217, due cani obbedivano svogliatamente alle necessità del padrone e il pasticciere grasso e biondo apriva la sua bottega di cioccolatini al marzapane e biscotti rancidi al burro rancido ingentiliti però da una soave copertura al cioccolato. Poi un portiere di notte si infilò in una vecchia Fiesta sbiadita, superando il padrone di cani che ormai poteva andare in ufficio tranquillo, accese il motore un po' freddo (che non esplose) e andò via contromano. Così finiva ufficialmente la notte. Il lampione stette sù ancora con un sibilo, poi si spense, ma non si aprì nessuna persiana perché nel nordeuropa non si usano, la luce è preziosa. Per quanto fredda e metallica. Per quanto scacciasse scocciata sogni e illusioni di chi vive la notte, salvando figure gialle e malvagie da una fine già scritta, chiudendo per sempre qualcosa che dopotutto non ricordi poi così bene e consegnando al mondo qualche altra scatola di pasticcini molli, costosi e scadenti, da assaggiare uno per uno facendo finta che forse ne vale davvero la pena.

1 commento:

David ha detto...

Ma è un racconto a puntate?
Quello su cui stai lavorando da due anni?
...