domenica, 11 febbraio 2007

Effettivamente era autunno per tutti; se ne accorse mentre le scarpe scomode e bagnate risuonavano silenziose sulla promenade, senza fretta apparente. Fuori, la risacca di quel mare probabilmente celeste, che scivolava elegante lungo i sassi del bagnasciuga, conquistando di tanto in tanto i pochi scogli che ancora si vedono dal centro di Nizza, almeno a sporgersi un po'. Risuonava, dicevamo, nella palpabile tranquillità di quella mattina appena accennata; c'erano lui e l'asfalto rosso che ricopriva il grosso marciapiede del lungomare, lui e quel mucchio di palme stropicciate dal vento, lui e quell'odore di mare e di sabbia che prometteva una nuova giornata.
Mucchio, già. Un mucchio, un sacco, erano parole calde, quasi confidenziali - così almeno si disse. Di certo, lo mettevano a suo agio, ed aveva tutta la necessità di mettersi a suo agio, quantomeno con se stesso. Perché era autunno, certo. Perché era troppo tempo che non ritrovava il profumo dolce e salmastro di quella città, dei suoi vicoli che sapevano di pesce e di spezie, di spezie e di zucchero, e di cannella, e insomma di tutte quelle cose che si stavano svegliando insieme a lui.
Così si ritrovò nella città vecchia che era mattina abbondante. Non poté fare a meno di notarlo, perché le scarpe scomode e bagnate non risuonavano più nel rumore bianco del mare, e intorno iniziavano ad aprirsi negozi e bancarelle lungo la strada. Camminava tra grani di pepe d'ogni genere, riso, cioccolata, zenzero, cannella, paprika, peperoncini, pesce sotto sale, formaggi molli e stagionati, piatti di ceramica, souvenir, un insieme di cose che a pensarci bene era un mucchio di cose, e a pensarci ancora meglio non aveva mai visto da nessun'altra parte in vita sua. Almeno tutto insieme. Bastava fare pochi passi, e l'aria diventava pungente per il brie e il camembert dietro mezzo centimetro di vetro, tornava burrosa e croccante davanti alla pasticceria vicino alla fontana, e poi l'odore del sale, la puzza di pesce, sacchetti di anice e lavanda, pout-pourri e troppo altro.
Sentì il bisogno di tornare verso la pasticceria burrosa e croccante, e comprò quasi di nascosto tre biscotti grossi e gialli e farinosi, burrosi e croccanti almeno quanto tutto il resto. Non gli capitava raramente, di trovarsi a fare qualcosa di nascosto da se stesso. Era buffo (altra parola confidenziale) perché se ne rendeva conto quasi di sfuggita, e un po' ci rimaneva male, perché aveva letto su un libro di quelli comodi che 'è meglio mentire agli altri che a se stessi'. Poi però si rispondeva 'è la storia della mia vita', e continuava a fare quello che aveva iniziato, in maniera tanto furtiva quanto divertita, senza pensarci troppo.
Per esempio, non si chiese come diavolo facesse un libro ad essere comodo. Notò piuttosto che la pasta frolla si scioglieva letteralmente in bocca, si sentì soddisfatto dell'acquisto e proseguì verso un porticato. Lo riportò alla realtà la targhetta anni settanta che diceva che l'acqua non era potabile: doveva aggiudicarsi una di quelle curiose fontanelle che aveva visto, anni addietro, in gran parte della Costa Azzurra, quelle dove per far uscire l'acqua toccava girare un grosso pomello circolare.
Fosse stato per lui, avrebbe continuato così, a sorseggiare virtualmente quell'acqua che sapeva di ferro, un acqua che senz'altro si poteva dire arrugginita, e però era sufficiente dopo un biscotto così burroso e croccante come quello che ormai aveva praticamente finito. Ma come gli aveva detto qualcuno poco tempo prima, era autunno, e se ne accorse qualche passo più tardi, e il miscuglio tra quel mucchio di sensazioni inebrianti e questa consapevolezza non era più così caldo e rassicurante, tanto da non fargli notare che stavolta la fontanella l'aveva trovata davvero.


"Resta l’unico posto del mondo in cui vendete il sapone a peso."
Il rumore del campanello finì di squarciare quell’aria che sapeva di lavanda e sapone di Marsiglia. Passò poco, e la donna dietro al bancone emerse da quei vapori pungenti e surreali; si voltò lentamente, con un movimento studiato da molto, troppo tempo.
"Due anni."
Aveva smesso di fare quello che stava facendo, e guardava quell’unico cliente con un’occhiata di rimprovero disprezzo e nostalgia. Ad esser precisi, lo sguardo sapeva di rimprovero e disprezzo, ma gli occhi verdi puntati su di lui tradivano che c’era qualcos’altro, un sentimento latente che provava a farsi strada in quell'immagine di generica desolazione.
"E’ un sacco di tempo."
Non ci siamo. Avrebbe potuto dirle qualsiasi altra cosa, avrebbe potuto cercare la frase giusta al momento giusto, ma non c’era riuscito. Come al solito, più tardi se ne sarebbe pentito, ci avrebbe pensato su, fino a progettare il modo migliore per rispondere a quella che non era una domanda, e ovviamente sarebbe stato troppo tardi. Poi sarebbe stata l'ora di qualcos'altro, magari si sarebbe ricordato della fontanella che stava cercando, o di quanto era fastidioso il vecchio delle quattro e un quarto, o avrebbe fatto caso a quanto poteva essere bello e rassicurante il tramonto visto dalle Alpes-Maritimes. Ma adesso no, non era ancora il momento.
"Troppo."
E lei, lei intanto sapeva benissimo che non era l'unico posto del mondo a vendere il sapone a peso. E non sapeva solo quello. Probabilmente sapeva già tutto: cosa avrebbe detto lui, cosa avrebbe risposto lei, come sarebbe andata a finire, perché. O forse sapeva tutto questo fino ad un attimo prima che quel dannato campanello squarciasse l'aria a cui ormai apparteneva (o che ormai le apparteneva?). Stava lì, quasi immobile dietro al bancone, e lo fissava.
"... ho dovuto andare via di corsa, impegni un po’ ovunque, t’avrei chiamato..."
"Mi avresti chiamato? In due anni non hai avuto tempo?"
"In due anni non ho avuto occasione, volevo pure scriverti..."
"Ma non l’hai fatto". Puntellò le braccia dietro al bancone, verso di sé, e proseguì. "Volevi chiamarmi, ma non l’hai fatto. Volevi scrivermi, ma non l’hai fatto. E non è la prima volta, porca puttana, e non sarà l’ultima, lo sai benissimo. Due anni, potevi essere morto ammazzato in qualche fottutissimo paese e non l’avrei mai saputo."
Se la guardò da lontano, col tono e l'animo di chi non ha ragione, né tantomeno è convinto di avere ragione. 'Da lontano' rappresentava perfettamente la sua condizione, almeno in quel momento. Lontananza. Era tutto così maledettamente lontano, a pensarci bene.
"Ma adesso sono qui."
Gli versò addosso una risata densa d’amarezza e delusione.
"E' troppo tardi?"
"E' troppo tardi."
Era troppo tardi. Probabilmente è sempre troppo tardi. Si sarebbe detto che era la storia della sua vita e ci avrebbe ridacchiato su, se solo non fosse stato così impegnato.
"Ero passato per farti capire che mi dispiace, non è dipeso da me."
"Non dipende mai da te."
La conversazione, per quanto la riguardava, era conclusa. Passò a inscatolare qualche sacchetto profumato, giusto per dare l'idea del fatto che stava chiudendo e stavolta per sempre. Le passò accanto per uscire, anzi le scivolò accanto per uscire, col solito paio di scarpe scomode che scricchiolavano sul pavimento di cotto spesso, ma stavolta l'autunno era tutto per lui.
"Quanto tempo passerà prima che farai una scelta?"
Non rispose.
"Fatti vivo, se per sbaglio dovessi farcela."
Stava per risponderle che non dipendeva da lui, ma preferì allontanarsi in silenzio, senza turbare quell’ultimo momento che aveva sicuramente un suo significato. Tornò nella città, che puzzava di mare e di pesce, un odore che mai come ora gli riusciva familiare.


Non era poi così rassicurante, il tramonto visto dalle Alpes-Maritimes. Non era più rassicurante del tramonto visto da nessun'altra parte del mondo; era solo più confortevole, ma le cose non coincidono. Dopotutto cosa cambia? In più c'era un'angosciante sensazione di sospensione, la sensazione del parapetto di pietra bianca, lassù sul vecchio forte in cima a Sainte Agnès, e tutt'intorno le Alpi e le montagne e le colline, e verso sud il mare, con la costa che spaziava dall'Italia a una Nizza appena accennata, e sotto un vecchio giardino ben curato. Una distesa prevalentemente verde e azzurra, verde e azzurro che a mano a mano che scendeva la notte si mescolavano in un'unica tonalità, un miscuglio appunto, che però stavolta non sapeva dire se e quanto fosse caldo e confidenziale.
Quel tramonto non aveva nessun significato, come tutto il resto. Quel tramonto non bastava, come tutto il resto. Si chiese alcune cose, mentre aspettava, e dovette concedersi il lusso di non darsi una risposta chiara e definita. Dopotutto, pensò, non c'è niente di più curioso e ripugnante di essere fraintesi, è come mentire senza saperlo.
Mentire senza saperlo. Cominciò a chiedersi se la frase avesse effettivamente un senso, o se non fosse una delle tante altre cose cui rispondere 'è la storia della mia vita'. Mentire senza saperlo. E agli altri o a se stessi? Stava forse abusando del suo ruolo nel mondo o c'era effettivamente un significato in quello che aveva appena pensato?
E poi era veramente autunno per tutti? Era tutto così dannatamente complicato, a vederlo da lassù, tutto così chiaramente complicato, e pensò che prima o poi sarebbe tornata l'ora del prossimo pezzo di cioccolata, della prossima fontanella, e che tutto sarebbe tornato semplice e lineare. Ma quella no, quella non era una sensazione rassicurante, assolutamente.
Si stava facendo buio, e dovette fare più attenzione del solito per scendere la scala che portava sul terrazzo di quel semirudere. Non fece caso ai passi che risuonavano sui gradini di legno, su quelli di metallo della rampa esterna, sulla terra battuta del giardino, sui gradini di sassi e cemento che portavano al paese. Rimase in silenzio per un po', con se stesso e col resto del mondo. Ne aveva bisogno.


Non era il diretto delle quattro e un quarto, certo. Aveva troppe ore di veglia alle spalle, ma i posti erano più comodi, gli spifferi più tollerabili. Lasciò la valigia all'inizio del vagone e se ne sprofondò nel sedile aspettando di partire. E infatti dopo poco tempo il treno si mosse, lento come se avesse paura di vincere la sostanziale immobilità del viaggio, un viaggio sempre uguale.
Quanto a lui, si ritrovò dieci minuti dopo a sturarsi le orecchie prima e dopo le interminabili gallerie di confine - confine tra chi o cosa non importa - mentre cercava in una delle poche tasche qualcosa che assomigliasse a del cioccolato. Eccolo.
La cioccolata s'era sciolta lentamente, liberando una nota liquida fra dolce ed amaro, impreziosita da un corposo retrogusto di nocciola. Certo, era buona. Gustava soprattutto il piacere dell'attesa di un altro pezzo, e se lo gustava mentre misurava con gli occhi quanto fosse insignificante quello scompartimento, rispetto all'oscurità imminente che stava prendendo di corsa il posto del giorno e della sera. Tutto si rivelava per quello che era - un treno, sei sedili un corridoio deserto e un'immagine riflessa sul solito finestrino oscurato, e lui che guardava.
Ma non era più abituato a tutto questo. Aveva sonno, e si mise ben comodo. Forse troppo, tant'è che ad una delle fermate successive si tirò su di colpo, non appena intravide una figura che si faceva strada lungo il corridoio.
"Porca miseria!"
Si ricompose, appunto, e guardò fuori dalla porta trasparente dello scompartimento. Con gli occhi squadrò un tizio vestito di azzurro che spingeva un carretto metallico, tizio che raccolse una bottiglia di plastica e passò oltre. Accompagnò con lo sguardo l'uomo del bar che continuava il suo percorso traballante verso altre inutili carrozze, e sorrise. Sorrise finché non finì il corridoio e scomparve dalla sua vista, finché non rimase solo col filo di mal di stomaco che gli era tornato appena aveva sentito quelle due parole, pronunciate ancora una volta. Non era sollevato; ma sorrise, sorrise finché non si voltò da una parte e non si addormentò, disteso tra il sedile morbido e azzurro e la sua immagine riflessa sul vetro, sotto il comodo calore metallico di quella luce a neon che lottava da sola contro la nuova notte verso cui, ormai, stavano viaggiando.

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