lunedì, 12 febbraio 2007

uno

Tutte le volte che attraversava di corsa i binari del tram sulla Lange Gasse, si chiedeva come diavolo fosse riuscito a trovarlo, quell'albergo. Non era a Vienna da molto, ma la prima serata gli era stata sufficiente per capire che si trovava in uno dei posti peggiori per cercare un albergo senza prenotazione, soprattutto di notte. Quando l'ebbe spuntata, era già l'alba, e ne sentiva ancora le conseguenze.
La Lange Gasse è una strada piccola e larga, dalle parti della più nota Alte Gasse, del municipio e dell'università, di cui aveva da poco apprezzato uno dei pub interni. Raramente aveva visto strade disegnate così perfettamente, senza un'inesattezza, con la pasticceria konditorei da un lato e un negozio di vecchi vestiti dall'altro, una fermata del tram asettica e minimale, poche automobili parcheggiate e una cassetta per le lettere. L'inconveniente di quelle notti di gennaio era la nebbia, con la sua atmosfera umida e ovattata, tale da impregnare la mappa che s'era procurato (comunque inservibile, con quella visibilità). Assieme ad un lampione insufficiente c'era però la porta della pension, due lastre di vetro scorrevole incastrate curiosamente in un vecchio edificio giallo e ben curato; accanto, il portone di ferro battuto da cui si entrava per fare prima, in comune con il resto del palazzo.
Quella notte si trascinò su per le scale in maniera più stanca del solito. Non si stupì neanche dell'ascensore di legno con i sedili di pelle e le porte manuali, come faceva normalmente, ma si limitò a sospirare dentro quell'aria che sapeva di vecchio, aspettando il quarto piano. Sulla sinistra c'era una grossa porta antipanico (come su ogni piano) che separava il condominio dai locali dell'albergo/pensione. Oltre, iniziava la moquette del corridoio interno, che percorse rassegnato a non capire come diavolo alla fine la sua stanza desse sulla strada, e non verso un probabile cortile.
Una volta vinta la serratura, chiuse la porta dietro di sé e si avviò verso il lavandino del bagno, a luci spente. Aveva preso la brutta abitudine di rasarsi la sera, o come in quel caso a notte fonda, e così fece (almeno poteva dormire un po' di più, anche se il risultato non era il massimo). Accese il neon sopra lo specchio, si sciacquò il viso con un’abbondante mano d’acqua calda, aprì la schiuma da barba e sostenne lo sguardo dell'uomo allo specchio.
Erano cinque giorni che era là, ed ancora non aveva avuto nessuna notizia. Lo avevano contattato il venerdì, e fino ad allora nessuno s'era più fatto vivo. Ma avevano pagato, e doveva aspettare. Dopotutto la città non era così spiacevole, a parte il freddo mortale e qualche difficoltà con la lingua. Alla peggio, gli era capitato di perdersi a più di un bivio evidente, complice l'oscurità che quasi sempre accompagna la notte, ma dopo un po' l'orientamento diventava fattibile.
Ancora una volta, si disse dispiaciuto. Terminata mezza guancia destra, gli era tornata in mente la vecchia promessa che ancora non era riuscito a mantenere. Rasoio monolama, cuttroath, un’esperienza che riteneva necessaria per il proprio percorso di uomo sulla terra. Aveva già dei problemi di suo a passare la dogana, questo sì, ma prima o poi doveva provare, possibilmente evitando di rimanerci secco. Tutta un'altra esperienza, sicuramente.
Probabilmente lo avrebbero contattato in giornata. Nei limiti dei fusi orari che non conosceva, certo, ma dal suo arrivo all'aeroporto non aveva ricevuto messaggi o telefonate. Odiava l'angoscia dell'attesa, quelle ore passate prima di capire che cosa avrebbe dovuto fare: forse perché gli impedivano di avere un controllo completo del suo lavoro e forse della sua vita, perché doveva accontentarsi di aspettare e accontentarsi di quello che sarebbe arrivato. L'attesa rendeva tutto troppo vulnerabile al caso, e questo lo sapeva anche troppo bene.
Pulì il rasoio affondandolo nell’acqua del lavandino. A pensarci bene odiava pure quel lavandino, e tutti i fottutissimi lavandini che non si tappano mai perfettamente, tanto che dopo trenta secondi sono già lì che si svuotano. Magari col rasoio monolama sarebbe bastato il getto dell’acqua per pulirlo, senza le sapienti manovre che doveva ripetere identicamente tutte le sere. Certo, i rischi di tagliarsi erano ovviamente maggiori, e c’era la fastidiosa eventualità di rimanerci secchi per qualche stronzata o un colpo di sonno. Forse era per quello, che non aveva ancora fatto il grande passo. Poteva provare di giorno, probabilmente era più sicuro.
Che poi non era l'attesa di per sé, ma il contesto in cui era inserita. Attendere faceva parte del suo lavoro. Accontentarsi, faceva parte del suo lavoro. Aveva passato un certo numero di anni della sua vita ad accontentarsi dell'incarico che gli era assegnato, e parte del suo compito consisteva nel non domandarsi più di tanto, riguardo alcunché. Le attese le riempiva facendo altro, preparando minuziosamente il futuro più prossimo, più frequentemente dimenticando dubbi e indecisioni che lo prendevano sempre più spesso. Era pagato per agire, ed il massimo che gli era concesso era stabilire se e come farlo, non perché farlo. E c'erano un sacco di cose che gli sfuggivano, non sempre bastava una notte di nebbia per accettarle fino in fondo.
Si tagliò. Troppo sonno, troppa stanchezza, e sbagliò la passata sul mento. Forse era meglio, col rasoio usa e getta, poteva permettersi qualche distrazione senza rischiare la pelle. Cercò di rilassarsi, si sciacquò la ferita ed andò avanti. Niente stronzate e tutto sarebbe filato liscio, per quello che ancora gli restava da fare, e arrivederci a domani o a dopodomani.
Dopotutto, parte della sua vita non era nient'altro che accettare il proprio ruolo nel mondo. E il suo ruolo era quello di chiunque appaia per qualche fugace istante nell'esistenza di qualcun'altro - anonimo e indispensabile. Funzionava come quando si ritrovava a incrociare gente per strada, e per sbaglio si accorgeva che ognuno di quei puntini intorno a lui probabilmente aveva una vita, delle aspirazioni, dei sentimenti - un suo ruolo, insomma. Un ruolo che ciascuno inevitabilmente riteneva svincolato da quello degli altri, o almeno autonomo da quello degli altri, ma che in realtà viveva degli altri, di quella moltitudine silenziosa e uniforme che appariva e scompariva ogni giorno. Vite e vite collegate tra loro nella maniera più debole possibile, e comunque collegate indissolubilmente l'una all'altra; ecco, tra i suoi compiti c'era probabilmente quello di restare nella parte del mondo che prima o poi verrà dimenticata, per sempre. Lasciare agli altri le proprie vite, e scomparire nella maniera più lucida, silenziosa e completa possibile in un oblìo che normalmente significa fine, ma che per lui era fondamentalmente sicurezza. Di sicuro, sicurezza fisica; ma a volte, guardando il nevischio appena accennato che si spargeva su una di quelle città di cui viveva le notti, sembrava come se in mezzo a quella coltre bianca e già sciolta ci fosse anche lui, e la sensazione non era delle migliori.
Finito. Si sciacquò nuovamente gli occhi e il volto, infilò la mano in una fessura nel muro e prese una vecchia saponetta quadrata, con cui s’insaponò velocemente. Passò la matita emostatica sul mento, e sopportò il bruciore che lo colse d’improvviso. Si sfilò la camicia, rimproverò il colletto nero di sudore e la gettò in un secchio d’acqua calda, strofinandola un po’ annoiato e un po’ controvoglia.
Poi squillò il telefono. Gli ci volle un po' per asciugarsi la mano destra e frugare nelle tasche della giacca.
"Pronto?", osò.
"Buongiorno, signor Porter."
Riconobbe la voce al telefono. Era uno dei contatti che lo chiamavano di solito, lo stesso del venerdì precedente. Però non era giorno, e non poteva fare a meno di notarlo.
"Domani mattina le lasceremo una busta presso la reception. Spero non ci siano problemi."
Anche lui, sinceramente.
"Assolutamente. Verso che ora..."
"Otto e mezzo. Troverà tutte le informazioni all'interno."
Guardò l'orologio: gli rimanevano quattro ore scarse di sonno. Mentre chiuse il telefono e si avvicinò al letto, lo colse un brivido di disgusto per quella comunicazione troncata così di corsa. Non che il suo lavoro lasciasse spazio a troppi convenevoli, certo, ma a volte aveva bisogno di un minimo di tatto, fosse solo per convincersi di non essere lui, il prossimo a morire.
A proposito, chi erano? Non che lo sapesse veramente. Non aveva mai visto di persona nessuno di quelli che lo avevano contattato, né ci teneva in maniera particolare. Era curioso il fatto che fosse disposto magari a non chiedersi perché faceva quello che faceva, che significato e che conseguenze avesse il suo ruolo nel mondo (a parte quelle immediate e scontate), mentre lo infastidiva categoricamente un trattamento del genere. Probabilmente era più facile addormentarsi di notte con la consapevolezza che la mattina sarebbe stata sempre uguale e sempre diversa, portando a termine il proprio compito nella maniera migliore possibile...
"Nella maniera migliore possibile". Lo ripeté a se stesso, tanto lo rappresentava. Cosa ci fosse al di fuori di quell'albergo e di quel telefono, non aveva avuto occasione probabilmente neanche di chiederselo fino in fondo. Era lì, a guardare la luce flebile ed evanescente che filtrava dalla finestra, a rispondere a chiamate sconosciute e a far fuori gente altrettanto sconosciuta. Preoccupandosi di rimanere pure lui sconosciuto, nella maniera migliore possibile appunto, ponendosi dubbi pericolosi alle tre di notte e rovinandosi il sonno per una chiamata troncata troppo presto. Essenzialmente era tutto qua.
Cos'era, il suo ruolo nel mondo? Alla fine non c'era poi troppa differenza tra lui e l'uomo della reception, che avrebbe dimenticato con solerte prontezza la faccia di chi, al mattino, sarebbe venuto a consegnargli una grossa busta gialla per il tizio della stanza 414. Entrambi erano lì a far quello che andava fatto, rispettando un codice che s'erano dati - o meglio, un codice che avevano accettato come parte fondamentale delle loro vite. Nient'altro. Quadro desolante ma realistico. D'altronde, in una vita in cui la sopravvivenza è già una prospettiva di tutto rispetto, non si può pretendere di meglio. Forse.
Perciò rimboccò alla meglio le lenzuola - ripiegate nel modo più odioso possibile, come si usa in Austria - e ci si infilò dentro, spegnendo la luce e lo spettacolo poco appagante di quella stanza vuota e spoglia come la sua vita. Ci mise un po' a cacciare dalla mente amare riflessioni sul più probabile dei futuri possibili, sul senso di tutto quello, sul declino dell'etica delle telecomunicazioni e su quanto fosse fastidioso ed umido il nevischio che lentamente stava ricoprendo lui e gran parte del mondo che lo circondava. Ci mise un po', ma ce la fece, nella maniera migliore possibile. Si addormentò perché era stanco; come nella vita accade tutte le volte tranne una, lo aspettava una nuova giornata.

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